Speciale per Africa ExPress
Antonio Mazzeo
10 luglio 2020
Oltre 180 civili sarebbero stati assassinati dalle forze armate del Burkina Faso e seppelliti poi in grandi fosse comuni nella città settentrionale di Djibo, 200 km circa a nord della capitale Ouagadougou, al centro di violenti scontri tra l’esercito burkinabé e gruppi armati di matrice jihadista. E’ quanto denunciato in un report dell’organizzazione non governativa statunitense Human Rights Watch (Hrw); le vittime, tutte di sesso maschile, sarebbero morte tra il novembre 2019 e il giugno 2020.
“Djibo è stata trasformata in un campo di morte e le prove a nostra disposizione suggeriscono il coinvolgimento delle forze di sicurezza nelle esecuzioni di massa extragiudiziali”, ha dichiarato Corinne Dufka, direttrice per il Sahel di Human Rights Watch. “Gli abitanti della città ci hanno raccontato che molte vittime sono state rinvenute con i volti bendati e le mani legate e con i evidenti di colpi d’arma di fuoco alla testa, a fianco delle strade, sotto i ponti, nei campi e in alcune abitazioni abbandonate”.
Sempre secondo le testimonianze raccolte da Hrw, la maggior parte delle persone trucidate apparterrebbe alle comunità nomadi dei Fulani o Peuhl. Alcune erano sparite dopo essere state fermate nel corso delle operazioni dell’esercito, altre erano sfollate insediatesi nell’area urbana di Djibo dopo aver abbandonato i loro villaggi natii. Dato l’avanzato stato di decomposizione, i residenti della città erano ricorsi al seppellimento dei corpi in fosse comuni. L’8 e 9 marzo, in particolare, sono state sepolte 114 persone in 14 fosse comuni. A metà marzo, altre 20 persone sono state seppellite in un terreno vicino al cimitero di Boguelsawa, un quartiere della periferia sud di Djibo. Il 30 giugno scorso, sono state inumate 18 persone: i corpi erano stati ritrovati a metà maggio nei pressi dell’aeroporto della città.
“Le forze armate del Burkina Faso sono impegnate dal 2017 a combattere i gruppi di militanti armati legati ad al Qaeda e allo Stato islamico e centinaia di civili sono stati uccisi mentre sono almeno un milione gli sfollati dal conflitto che coinvolge anche i paesi vicini come Niger e Mali”, scrive Corinne Dufka. “I gruppi di auto-difesa filo-governativi, istituzionalizzati nel gennaio 2019 dal governo burkinabé, sono accusati di numerose violazioni compreso l’assassinio di 49 uomini nel 2019 e di altri 43 nel marzo 2020. Gli omicidi perpetrati dalle forze di sicurezza e dai gruppi sostenuti dal governo favoriscono il reclutamento da parte dei gruppi armati islamisti. L’assenza di progressi nelle inchieste su queste violazioni accresce lo stato di impunità e la crisi generale. Per questo facciamo appello alle Nazioni Unite o ad altri esperti forensi internazionali perché forniscano il loro aiuto nella raccolta e nell’analisi dei resti rinvenuti nelle fosse comuni”.
Il 28 giugno 2020 Human Rights Watch ha rivolto un analogo appello alle autorità politiche e militari del Burkina Faso. Un’assai poco credibile risposta è giunta il 3 luglio per bocca del ministro della Difesa, Moumina Chériff. “Ci impegniamo a indagare sulla veridicità delle accuse ma assicuriamo sul massimo rispetto dei diritti umani durante le operazioni di sicurezza”, ha dichiarato Chériff. “Gli assassinii sono avvenuti nel corso del lieve aumento degli attacchi da parte degli islamisti armati e potrebbero essere stati commessi proprio da essi, dopo essersi appropriati di uniformi ed altro equipaggiamento dell’esercito. E’ difficile per la popolazione distinguere tra gruppi di terroristi armati e le forze di difesa e sicurezza”.
Human Right Watch aveva già denunciato pubblicamente il sanguinoso conflitto in atto in Burkina Faso in occasione della 41esima sessione del Consiglio dei diritti umani della Nazioni Unite, tenutasi il 24 giugno 2019 a Ginevra. “Le esecuzioni illegali di civili da parte dei gruppi armati islamisti, delle forze di sicurezza e delle milizie filo-governative hanno provocato sfollamenti assai diffusi e hanno reso più profonde le tensioni etniche e la mancanza di fiducia nello stato”, riferì allora la Ong. “A partire del 2017 abbiamo documentato l’omicidio di 407 civili da parte dei gruppi islamisti. Accusando le vittime di legami con il governo, l’Occidente e la fede Cristiana, questi gruppi hanno attaccato chiese, moschee, bar, convogli di aiuti umanitari e scuole con inimmaginabile crudeltà. In risposta alla crescente presenza dei gruppi islamisti armati, le stesse forze di sicurezza hanno perpetrato omicidi illegali. Abbiamo documentato l’assassinio di oltre 500 persone, la maggior parte delle quali è stata trovata morta dopo essere stata presa in custodia delle forze di sicurezza. Nel 2019, un autorevole gruppo locale di diritti umani ha rivelato altre 60 esecuzioni”.
Anche Amnesty International accusa i gruppi militari e paramilitari vicini al governo per le sparizioni forzate e le efferate stragi nel distretto di Djibo. Con un recente comunicato, l’Ong ha ricostruito quanto accaduto il 9 aprile nella città del Sahel: “Trentuno residenti sono stati arrestati in diversi quartieri e successivamente assassinati dal Groupement des Forces Anti-Terroristes (GFAT), gruppo d’élite delle forze anti-terrorismo – scrive Amnesty -. Dieci delle vittime erano sfollati ricollocati a Djibo. I corpi delle 31 vittime sono stati recuperati dai familiari la sera stessa a sud-est di Kourfayel, un villaggio a 7 km da Djibo”.
Gli unici a non accorgersi di quanto accade in Burkina Faso sono i politici italiani di governo ed opposizione. Il 1° luglio 2019 l’allora ministra della Difesa, Elisabetta Trenta (M5S) e l’omologo collega burkinabé Moumina Chériff hanno firmato a Roma un Accordo bilaterale relativo alla cooperazione nel settore della difesa, la cui ratifica parlamentare è attesa nelle prossime settimane. L’Italia si è impegnata a fornire assistenza militare e logistica, nuovi sistemi d’arma e addestramento al partner africano.
Inoltre, entro la fine dell’anno, sarà avviata in Sahel la nuova missione multinazionale “Takouba” a guida francese. Le forze armate italiane assicureranno all’operazione alcuni elicotteri da trasporto e unità per l’addestramento delle forze armate di Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger “al fine di contrastare il fenomeno terroristico e le altre gravi minacce che minano la sicurezza dell’intera area sub sahariana.
Antonio Mazzeo
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