Cornelia I. Toelgyes
9 luglio 2020
C’è ancora molto da fare nel più giovane Stato della Terra, che oggi celebra il nono anno dall’Indipendenza. Per il quinto anno consecutivo non si sono tenute celebrazioni ufficiali, questa volta non a causa della guerra, ma per la pandemia.
Finora sono stati registrati 2.106 casi di Covid-19. Il sistema sanitario è estremamente fragile, quasi inesistente, dilaniato da anni di guerra civile, si trova ora a dover affrontare questa nuova emergenza. David Shearer, rappresentante speciale del segretario generale dell’ONU in Sud Sudan, durante il suo intervento al Consiglio di Sicurezza dello scorso giugno, ha esposto la difficile situazione della sanità nella giovane nazione. “Anche se l’ospedale per le malattie infettive della capitale Juba è stato ampliato grazie agli aiuti internazionali e il contributo del ministero della Salute – ha detto – sarà una vera e propria sfida per il sistema sanitario affrontare l’epidemia. UNMISS (United Nations Mission in South Sudan) e diverse ONG hanno provveduto a equipaggiare e formare il personale del nosocomio più grande del Paese e quelli sparsi nei 10 Stati, ma questi sforzi non bastano per soddisfare le necessità della popolazione, già duramente provata da anni di guerra civile. Tra i malati ci sono già una novantina di medici e infermieri perchè il materiale per proteggersi contro Covid-19 non è sufficiente; è assolutamente indispensabile tenere aperte le cliniche, anche se il compito è arduo, visto che i dottori governativi non vengono pagati da mesi e mesi”.
Shearer si è espresso invece positivamente per quanto concerne il processo di pace, sottolineando che in questi mesi si sono potuti constatare miglioramenti, anche se non va assolutamente abbassata la guardia. Basti pensare ai rigurgiti inter-etnici che sporadicamente riaffiorano.
Kiir, nel suo discorso alla nazione in occasione dell’anniversario dell’indipendenza, ha detto: “Abbiamo ormai superato la fase di violenze politiche, ora dobbiamo mettere un punto finale agli scontri etnici che ancora riaffiorano in diverse aree del Paese. Abbiamo bisogno del disarmo totale, che in diverse zone è già in atto”.
Mentre il ministro della Pace, Steven Par Kuol, si è espresso senza mezzi termini: “Abbiamo davvero mal gestito la politica, i leader di questo Paese sono responsabili della recrudescenza delle violenza da quando abbiamo ottenuto l’indipendenza”.
Corre l’anno 2011, quando i primi di febbraio Omar al Bashir, allora presidente del Sudan, annuncia i risultati del referendum: il 98,83 per cento delle schede sono a favore della secessione; i sud sudanesi scelgono l’indipendenza. La vittoria dei sì – giunta dopo oltre trent’anni di guerra – viene festeggiata nelle città e nei villaggi del sud. Ma, secondo gli accordi di pace, l’indipendenza viene proclamata il 9 luglio 2011.
Le speranze, la gioia della gente sono ben presto seppellite quando il presidente Salva Kiir Mayardit accusa il suo vice Riek Marchar di complottare contro di lui e aver tentato un colpo di Stato. Iniziano i combattimenti tra le forze governative e quelle fedeli a Machar. I primi scontri risalgono al il 15 dicembre 2013 nelle strade di Juba, la capitale del Paese, ma ben presto raggiungono anche Bor e Bentiu. Vecchi rancori politici ed etnici mai risolti, non fanno che alimentare questo conflitto.
L’ennesimo trattato di pace viene firmato nell’estate del 2018, ma solo a febbraio di quest’anno è sciolto il vecchio governo. Kiir, il presidente, resta al suo posto, mentre Machar viene nuovamente insediato come primo vice-presidente. Durante la cerimonia tenutasi nella capitale Juba, Kiir dichiara ufficialmente conclusa la guerra, aggiungendo: ” “Dobbiamo perdonarci a vicenda e estendo questo appello alle popolazioni di etnia dinka e nuer” (i due gruppi etnici rivali n.d.r.).
Il conflitto interno ha provocato la morte di oltre 400mila persone e milioni di sfollati che hanno dovuto lasciare le proprie case. La popolazione è alla fame. Ci sono state violenze in ogni dove, lo stupro era una delle armi preferite. Durante la guerra civile hanno perso la vita 116 operatori umanitari per lo più sud sudanesi.
Secondo quanto riportato da UNHCR negli ultimi mesi molte persone stanno ritornando nei loro luoghi di origine. Un segnale positivo, la gente ha fiducia nel nuovo trattato di pace, che, si spera, venga messo in atto in toto quanto prima.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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