Cornelia I. Toelgyes
3 luglio 2020
Un giovane è morto martedì scorso in Sudan, altri sono stati feriti durante le manifestazioni che si sono svolte contemporaneamente in moltissime città dell’ex protettorato anglo-egiziano. Decine di migliaia di sudanesi hanno chiesto nuovamente riforme e giustizia.
La maxi protesta pacifica, denominata The one milion man march, organizzata da Sudanese Professional Association ha coinvolto non solo la capitale, dove la polizia ha usato gas lacrimogeni per disperdere la folla sulla strada che porta da Khartoum verso l’aeroporto internazionale.
I manifestanti hanno sfidato il lockdown e hanno affollato i centri di molte città del Paese, da Kassala nell’est fino alle recalcitranti regioni del Darfur, cantando: freedom, peace and justice (libertà, pace, giustizia), slogan del movimento anti-al Bashir.
L’ex despota, Omar al Bashir, è stato spodestato l’11 aprile 2019 dall’esercito sudanese. Attualmente sta scontando una pena di 2 anni per corruzione in un riformatorio statale. L’anziano ex leader dovrà affrontare molti altri processi, piano piano vengono alla luce tutte le atrocità commesse durante il suo lungo “regno”.
Al Bashir è salito al potere nel 1989, quando, come colonnello dell’esercito sudanese, ha guidato un gruppo di ufficiali in un incruento colpo di Stato militare che ha rimosso il governo del primo ministro Sadiq al-Mahdi. Finora non è stato ancora consegnato alla Corte Penale Internazionale dell’Aja, che già nel 2009 aveva spiccato un mandato di arresto nei suoi confronti per genocidio e crimini di guerra commessi in Darfur.
Ora il popolo chiede giustizia per tutte le vittime uccise durante la sua dittatura e vuole che i responsabili delle violenze, delle oppressioni, vengano processati. I manifestanti si sono rivolti anche al primo ministro Abdallah Hamdok , perchè acceleri la formazione di un Parlamento di transizione, attui quanto prima le riforme promesse, nomini governatori civili in ogni stato. E infine, gli organizzatori della maxi-protesta hanno specificato che il governo di transizione avrebbe affidato troppi compiti ai militari, che, secondo gli accordi dovrebbero occuparsi solamente della sicurezza e non di questioni economiche e quant’altro.
Attualmente il Sudan sta attraversando una profonda crisi economica, la svalutazione del pound sudanese e un’inflazione che ha raggiunto il 100 per cento annuo, hanno messo in ginocchio il Paese. Durante una conferenza virtuale internazionale tenutasi a Berlino una decina di giorni fa, il governo di Khartoum ha ottenuto promesse di finanziamenti per 1,8 miliardi di dollari da partner internazionali, come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, Team Europe (UE e i suoi Stati membri) e altri. La somma dovrà essere destinata alla protezione sociale, sviluppo, lotta contro Covid-19 e aiuti umanitari. Certo, una boccata di ossigeno, anche se il primo ministro aveva chiesto e sperato in aiuti più consistenti.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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