Cornelia I. Toelgyes
24 giugno 2020
L’Unione Africana ha sanzionato il governo del Sud Sudan per non aver versato per tre anni consecutivi i contributi all’Organizzazione; il debito accumulato supera ampiamente i 9 milioni di dollari.
La missione sud sudanese ad Addis Ababa, Etiopia – sede dell’Unione Africana – ha informato il proprio ministero degli Esteri il 17 giugno scorso che la sanzione è diventata effettiva già il 16 giugno.
E’ stato davvero un momento imbarazzante per tutti i presenti, quando il presidente di una riunione in atto ha sospeso la seduta, invitando la delegazione sud sudanese a lasciare l’aula, in quanto la loro presenza da questo momento in poi è considerata illegale.
Il ministero degli esteri di Juba ha cercato subito di correre ai ripari; tramite un portavoce, Hakim Edward, ha fatto sapere che il proprio dicastero e quello delle Finanze stanno cercando di risolvere l’empasse quanto prima.
Il più giovane Stato della terra, che ha ottenuto l’indipendenza dal Sudan nel 2011, non è stato silurato dall’Unione Africana; ma, finchè non avrà regolarizzato la sua posizione amministrativa, non potrà partecipare alle riunioni e è privato del diritto al voto.
Secondo Brian Adeba, direttore aggiunto della ONG Enough Project, la sospensione del Sud Sudan non ha sorpreso nessuno, dal momento che la corruzione nel Paese è endemica. L’appropriazione indebita di fondi è prassi, nella più grande impunità gli alti funzionari governativi falsificano regolarmente i budget stanziati dai ministeri. Un sistema di corruzione estremo, eppure il Paese produce 200mila barili di petrolio al giorno; malgrado ciò gli impiegati statali non vengono pagati da 5 mesi.
Già nel 2019 il presidente Salva Kiir aveva annunciato di voler trattenere un giorno di stipendio nella busta paga dei dipendenti pubblici per quattro mesi nell’interesse della pace, perchè Juba non era in grado di racimolare il denaro necessario volto a garantire l’applicazione del processo di pace.
E mentre il governo piangeva miseria, tra dicembre 2018 e gennaio 2019 il National Pre-Transitional Committee (NPTC) – gruppo incaricato della supervisione della prima fase del trattato di pace e della gestione del budget – aveva messo a disposizione oltre 135mila dollari per rinnovare le case di due politici.
D’altronde il governo sud sudanese è conosciuto per essere spendaccione. Durante l’estate 2018 Juba aveva erogato ben quarantamila euro a ciascun parlamentare per l’acquisto di nuove autovetture. Una somma considerevole, che supera abbondantemente i dieci milioni di dollari, in un Paese dove le strade nemmeno esistono.
La popolazione, dopo anni di guerra civile è allo stremo. Durante il conflitto interno iniziato alla fine del 2013, hanno perso la vita 400mila persone e ancora oggi il 60 per cento dei sudanesi necessità di aiuti umanitari. In milioni hanno dovuto lasciare le proprie case, ci sono state violenze in ogni dove, lo stupro era una delle armi preferite.
La scorsa settimana il presidente Kiir e il primo vice-presidente Riek Machar si sono finalmente accordati sulla distribuzione e il controllo dei 10 Stati, uno dei nodi più importanti da sciogliere per la messa in atto del trattato di pace. E a questo proposito Norvegia, Stati Uniti e Gran Bretagna avevano messo alle strette Juba: in un comunicato congiunto i governi dei tre Paesi avevano sottolineato che il ritardo nell’applicazione dell’accordo avrebbe compromesso il processo politico di transizione.
Sta di fatto che mercoledì scorso il ministro per gli Affari presidenziali, Nhial Deng Nhial, ha reso noto che Kiir nominerà i governatori di 6 Stati, tra questi Unity State e Central Equatoria (che comprende anche la capitale Juba), entrambi ricchi di petrolio. Mentre Machar proporrà gli amministratore dell’Upper Nile – anch’esso produttore di greggio – e di altri due Stati, mentre South Sudan Opposition Alliance sceglierà quello del Jonglei.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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