Cornelia I. Toelgyes
16 giugno 2020
In Mali è un susseguirsi di attacchi ai caschi blu di MINUSMA (acronimo per United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali presente sul territorio con oltre 13mila uomini) e alle forze armate maliane.
Domenica pomeriggio un convoglio composto da una dozzina di pick up dell’esercito di Bamako è caduto in un’imboscata nella zona rurale di Diabaly, nel centro della ex colonia francese, a meno di 100 chilometri dal confine con la Mauritania.
Secondo i primi accertamenti, una decina di soldati sarebbero morti, molti altri risultano ancora dispersi. Su 64 militari impegnati nel pattugliamento, solamente una ventina sono ritornati al campo di Goma Coura con alcuni veicoli. La base è già stata teatro di una strage alla fine di gennaio di quest’anno. Allora erano morti una ventina di militari. L’attacco è stato poi rivendicato dal Gruppo di Sostegno all’Islam e ai Musulmani (GSIM).
Meno di 24 ore prima hanno perso la vita due caschi blu di MINUSMA. La loro nazionalità non è stata resa nota finora. Il fatto è accaduto nel nord, tra Tessalit e Gao. I due facevano parte di un convoglio logistico, che è stato attaccato da un gruppo di uomini armati verso le 19.00 di sabato, 13 giugno. Mahamat Saleh Annadif, rappresentante speciale del segretario generale dell’ONU Antonio Guterres in Mali e capo di MINUSMA, nel suo comunicato rilasciato domenica, non si è sprecato in dettagli. Ha solamente precisato che le truppe dell’ONU hanno risposto con fermezza all’attacco, mettendo in fuga il gruppo armato. E infine ha aggiunto: “Ora dobbiamo identificare i responsabili e consegnarli alla giustizia”.
Luca Tacchetto e la sua compagna, la canadese Edith Blais erano stati presi in consegna dai caschi blu dell’ONU proprio nel nord del Paese, a Kidal. I due erano stati rapiti nel dicembre 2018 sulla strada che da Bobo Dioulasso, in Burkina Faso, porta in Togo, dove erano diretti. E in base alle foto messe in rete subito dopo la loro liberazione avvenuta il 14 marzo, Tacchetto si è lasciato crescere la barba come i musulmani della zona.
Secondo alcune indiscrezioni sembra che i due ex-ostaggi si siano convertiti all’Islam durante il lungo periodo trascorso in mano ai terroristi. Ma la notizia è passata in secondo piano. Lui è uomo e la compagna non è cittadina italiana e dunque non hanno subito l’attacco mediatico al quale è stato esposto Silvia Romano.
All’inizio dell’anno è stata lanciata la Coalition pour le Sahel (coalizione per il Sahel), che raggruppa i 5 Paesi dell’area e la Francia attraverso l’Operazione Barkhane con 5.100 militari francesi e altri partner già attivi nella zona. Recentemente ha preso il via anche una nuova task force Takuba, che in lingua tuareg significa “spada”. Il raggruppamento di forze speciali europee è integrato nel comando congiunto della coalizione. Anche l’Italia ha accolto l’appello della Francia e partecipa con mezzi militari e 200 uomini.
E mentre si consumavano le ennesime tragedie nel centro e nel nord del Mali, domenica si è tenuta la quarantesima sessione del Comitato dell’Accordo per la Pace e la Riconciliazione nel Mali (il trattato è stato siglato nel 2015 n.d.r.), presieduta dall’Algeria, con la partecipazione del primo ministro maliano, Boubou Cissé, rappresentanti della mediazione internazionale e esponenti dei vari movimenti firmatari dell’accordo.
Il primo ministro ha molto apprezzato l’impegno finanziario della mediazione internazionale e ha precisato che anche il suo governo avrebbe fatto tutto il possibile per far decollare finalmente in toto il trattato di pace.
Un fine settimana pieno di “eventi” in Mali: il presidente Ibrahim Boubacar Keïta si è rivolto alla nazione domenica scorsa dopo le contestazioni del 5 giugno, che hanno portato nelle strade e nelle piazze della capitale Bamako migliaia di maliani per chiedere le sue dimissioni.
Keïta ha promesso che presto avrebbe incontrato i rappresentanti dei partiti all’opposizione e delle organizzazioni del “movimento 5 giugno” (ne fanno parte anche Coordination des mouvements, associations et sympathisants (CMAS) dell’influente imam Mahmoud Dicko) e ha aggiunto: “So bene che le ultime elezioni legislative sono state fortemente contestate in alcune zone del Paese. Queste tensioni devono servirci da insegnamento. La mia porta è sempre aperta e la mia mano è tesa verso tutti”.
Cornelia I. Toelgyes
@cotoelgyes
corneliacit@hotmail.it
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