Burkina Faso: efferati crimini contro l’umanità ma l’Italia fa accordi militari

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Elisabetta Trenta, ministro Difesa Italia con il suo omologo burkinabè, Moumina Chériff Sy

Speciale per Africa ExPress
Antonio Mazzeo
giugno 2020

Addestrare e armare un paese poverissimo del continente africano le cui forze armate sono impegnate in una sporca guerra al “terrorismo” e perpetuano stragi e inaudite violazioni dei diritti umani? L’Italia lo fa in Niger e Mali e quando il Parlamento ratificherà l’accordo di cooperazione militare firmato il 1° luglio 2019 dai rappresentanti dei due governi, anche il Burkina Faso rientrerà tra i partner strategici del complesso militare-industriale nazionale.

Con un prodotto interno lordo pro-capite inferiore agli 800 dollari e un’età media della popolazione (circa 19 milioni) pari a 17 anni, il Burkina Faso è uno dei paesi più poveri e più giovani del pianeta. Qualche giorno fa le autorità politiche-militari burkinabé sono finite all’indice di un rapporto di Amnesty International che ha documentato “gravi violazioni” dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza nel periodo compreso tra il febbraio e l’aprile 2020. Sanguinosi eccidi sono stati compiuti negli stessi mesi dai reparti d’elite anti-terrorismo degli altri due importanti alleati italiani nel Sahel, Niger e Mali.

Elisabetta Trenta, ministro Difesa Italia con il suo omologo burkinabè, Moumina Chériff Sy

“Nel corso delle recenti operazioni militari, sono stati commessi dalle forze armate di Burkina Faso, Mali e Niger non meno di 57 esecuzioni extragiudiziarie o omicidi illegali e 142 casi di sparizioni forzate”, scrive Amnesty. “Ciò è avvenuto in un contesto che ha visto i tre paesi potenziare i rispettivi interventi militari per combattere i gruppi armati come il GSIM (Group for the Support of Islam and Muslims) e l’ISGS (Islamic State in the Greater Sahel), responsabili di molteplici attacchi contro le forze di sicurezza e di gravi abusi di diritti umani contro la popolazione”.

La controffensiva che ha ulteriormente esasperato i conflitti nella regione africana, era stata pianificata il 13 gennaio 2020 a Pau (Francia) nel corso del summit del G5 Sahel, l’organizzazione regionale costituita nel 2014 da Mali, Mauritania, Niger, Burkina Faso e Ciad per cooperare nel campo della sicurezza e della “lotta al terrorismo”, in partnership con l’Operatione Barkhane promossa dal governo francese in Africa occidentale.

“Queste operazioni sono state tuttavia caratterizzate da gravi violazioni contro la popolazione, incluso esecuzioni extragiudiziarie e altri omicidi illegali”, prosegue il rapporto di Amnesty International. “In Mali e Burkina Faso, dove non è in corso un conflitto armato internazionale, parecchi di questi deliberati assassinii di civili possono considerarsi crimini di guerra”.

Nel poverissimo paese del Sahel, in particolare, l’organizzazione dei diritti umani ha potuto accertare due massacri, rispettivamente nelle città di Ouahigouya e Djibo, adistanza di 10 giorni l’uno dall’altro. “Il 29 marzo 2020, Issouf Barry, consigliere locale a Sollé, Hamidou Barry, capo villaggio di Sollé, e Oumarou Barry, uno dei membri della principale famiglia di Banh, sono stati sequestrati dalle loro abitazioni a Ouahigouya, provincia di Yatenga, regione del Nord”, spiega Amnesty. “I tre uomini sarebbero stati arrestati da individui presentatisi come gendarmi e che comunque indossavano le uniformi della Gendarmerie. Tutti erano sfollati interni che erano stati ricollocati a Ouahigouya, la capitale della regione, per garantire la loro sicurezza. Tre giorni dopo l’arresto, il 2 aprile, i corpi di Issouf Barry, Hamidou Barry e Oumarou Barry sono stati rinvenuti da alcuni abitanti in un sobborgo della città, sulla strada che conduce a Oula. Amnesty International ritiene che l’eccidio sia stato un’esecuzione extragiudiziaria e chiede alle autorità statali d’indagare su di esso per consegnare i responsabili alla giustizia”.

Uno stretto congiunto di Oumarou Barry, Issiaka Barry, era stato sequestrato nel dicembre 2019 a Ouahigouya da alcuni individui che si erano presentati anch’essi come gendarmi. Il corpo senza vita veniva rinvenuto alla periferia di Ouahigouya un paio di giorni dopo. “Sia Oumarou Barry che Issiaka Barry avevano denunciato in passato lo stato d’impunità in Burkina Faso e avevano invocato giustizia contro le esecuzioni extragiudiziarie commesse dalle forze di sicurezza burkinabè a Kainh, Bomboro e Banh nel febbraio 2019”, aggiunge Amnesty.

Ancora più drammatica la strage avvenuta in Burkina Faso il 9 aprile 2020 nella città di Djibo, regione del Sahel, 200 km circa a nord della capitale Ouagadougou. “Trentuno residenti di Djibo sono stati arrestati in diversi quartieri della città e successivamente assassinati dal Groupement des Forces Anti-Terroristes (GFAT), gruppo d’élite delle forze anti-terrorismo. Dieci delle vittime erano sfollati che erano stati ricollocati a Djibo: 6 provenivano da Silgadji e 4 da Kobao. I corpi delle 31 vittime sono stati recuperati dai familiari la sera stessa a sud-est di Kourfayel, un villaggio a 7 km da Djibo”.

Anche Human Right Watch ha dedicato all’eccidio di Djibo un accurato report. “Gli uomini sono stati uccisi presumibilmente qualche ora dopo il loro arresto, disarmati, nel corso di un’operazione governativa anti-terrorismo”, scrive l’Ong. “Il governo del Burkina Faso ha tre forze di sicurezza accampate a Djibo: una stazione di polizia, una base della gendarmeria e una base in cui è presente una forza mista anti-terrorismo. I residenti ritengono che sarebbe stata quest’ultima la responsabile della strage del 9 aprile”.

Morti in una cella della gendarmeria in Burkina Faso

“In tutto il Burkina Faso, ma principalmente nella regione del Sahel al confine con Mali e Niger, a partire del 2017 abbiamo documentato più di 300 civili uccisi da gruppi armati islamisti e l’assassinio di diverse centinaia di uomini da parte delle forze di sicurezza governative per un loro supposto supporto a questi gruppi”, aggiunge HRW. “L’Unione Europea, la Francia e gli Stati Uniti d’America dovrebbero esercitare pressioni sul governo Burkinabé affinché conduca un’inchiesta credibile e individui i responsabili dell’eccidio. Questi Paesi dovrebbero inoltre assicurarsi che ogni tipo di assistenza militare fornita alle forze di sicurezza del Burkina Faso non sia utilizzata da unità responsabili di questa e altre atrocità di cui nessuno è stato chiamato a rispondere”.

E l’Italia? Come se niente accadesse nell’inferno del Sahel, da qualche mese è approdato alle due Camere il disegno di legge approvato il 12 dicembre 2019 dal Consiglio dei ministri (proponenti il titolare degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Luigi Di Maio, e quello della Difesa,

di ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra il governo della Repubblica italiana e il governo del Burkina Faso relativo alla cooperazione nel settore della difesa. “L’accordo firmato a Roma il 1° luglio 2019 – spiega la Presidenza del Consiglio – è volto a fornire un’adeguata cornice giuridica per l’avvio di forme strutturate di cooperazione bilaterale tra le Forze armate dei due Stati contraenti, al fine di consolidare le rispettive capacità difensive, di migliorare la comprensione reciproca sulle questioni della sicurezza, nonché di indurre positivi effetti, indiretti, nei settori produttivi e commerciali coinvolti dei due Paesi”.

Composto da 12 articoli, l’Accordo militare Italia-Burkina Faso prevede all’art. 2 che i rispettivi Ministeri della difesa possano stipulare “ulteriori intese tecniche volte a disciplinare in concreto le aree di cooperazione, che sono: politica di sicurezza e di difesa; sviluppo e ricerca, supporto logistico e acquisizione di prodotti e servizi; operazioni umanitarie e di mantenimento della pace; organizzazione e impiego delle Forze armate, servizi ed equipaggiamenti delle unità militari e gestione del personale; questioni ambientali connesse all’inquinamento causato da attività militari; sanità, storia e sport militare; formazione e addestramento militare; ecc.”.

Quanto alle modalità di cooperazione si prevedono visite reciproche di delegazioni di personale civile e militare; lo scambio di esperienze tra esperti, relatori e personale, nonché di studenti provenienti da istituzioni militari; partecipazione a corsi teorici e pratici, a periodi di orientamento, seminari, conferenze, dibattiti e simposi organizzati presso enti civili e militari della Difesa; partecipazione a esercitazioni militari; visite di aeromobili militari; sostegno a iniziative commerciali relative ai materiali e ai servizi della Difesa”.

Lunghissima la lista dei sistemi di guerra che, secondo l’art. 6 dell’Accordo, potranno essere esportati alle forze armate del paese africano: aeromobili ed elicotteri militari, sistemi aerospaziali e relativo equipaggiamento; carri e veicoli armati; armi da fuoco automatiche e relative munizioni; armamento di medio e grosso calibro e relativo munizionamento; bombe, mine (“eccetto quelle anti-uomo”), missili, razzi e siluri; polveri, esplosivi e propellenti; sistemi elettronici, elettro-ottici e fotografici; materiali speciali blindati; sistemi e attrezzature per la produzione, il collaudo e il controllo delle armi e delle munizioni.

Italia invierà militari italiani in Burkina Faso

“Il reciproco approvvigionamento dei suddetti materiali potrà avvenire con operazioni dirette tra i due Stati oppure tramite società private autorizzate dai rispettivi Governi, mentre l’eventuale riesportazione del materiale acquisito verso Paesi terzi potrà essere effettuata solo con il preventivo benestare della Parte cedente”, si legge ancora all’art. 6. “Le attività nel settore dell’industria della difesa e della politica degli approvvigionamenti, della ricerca, dello sviluppo degli armamenti e delle apparecchiature militari potranno assumere le seguenti modalità: ricerca scientifica, prove e progettazione; scambio di esperienze nel settore tecnico; produzione congiunta, modernizzazione e servizi tecnici; supporto alle industrie della difesa e agli enti statali al fine di avviare la cooperazione nel settore della produzione di materiali militari”. Considerato il palese squilibrio economico-industriale e accademico tra le due Parti, è ovvio che il trasferimento di tecnologie belliche sarà unilaterale, da Roma a Ouagadougou, mentre a beneficiarne saranno solo le aziende italiane, Leonardo-Finmeccanica e Iveco DV in testa.

L’Accordo di cooperazione bilaterale è stato firmato al Circolo dell’Esercito “Pio IX” di Roma dall’allora ministra della Difesa, Elisabetta Trenta (M5S) e dal ministro della Difesa Nazionale e dei Veterani del Burkina Faso, Moumina Chériff Sy. “Sanciamo la comune ferma volontà di rafforzare le relazioni bilaterali, con l’intento di ampliarle a specifiche aree di cooperazione, come la lotta al terrorismo e le attività di capacity building”, dichiarava Elisabetta Trenta. “L’Accordo con il Burkina Faso sottolinea la significativa importanza che l’Italia dà alla cooperazione con l’Africa, in special modo con i Paesi del Sahel, con l’obiettivo di supportarli nel loro percorso di stabilizzazione e sviluppo. Il miglioramento delle condizioni di sicurezza di quest’area rappresenta un aspetto imprescindibile di questo nostro impegno e, le Forze Armate italiane, fianco a fianco con la nostra cooperazione internazionale, sono particolarmente impegnate in tal senso”.

Otto giorni dopo il vertice di Roma, il 9 luglio 2019, l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari esteri, l’italiana Federica Mogherini, annunciava che l’Ue avrebbe sostenuto la forza militare congiunta antiterrorismo G5 Sahel con un finanziamento aggiuntivo di 138 milioni di euro. La decisione di Bruxelles veniva formalizzata a conclusione di un vertice a Ouagadougou tra la stessa Mogherini, il presidente del Burkina Faso Roch Mark Christian Kaboré e i ministri degli Esteri di Ciad, Mali, Mauritania e Niger.

Il 25 febbraio 2020 a Nouakchott, capitale della Mauritania, si sono tenuti il Vertice dei Capi di Stato G5 e la prima Assemblea Generale dell’Alleanza Sahel, organizzazione internazionale di cui è partner anche l’Italia e che sostiene economicamente e militarmente i Paesi del G5 Sahel. A rappresentare il nostro paese ai lavori, la vice ministra degli Affari esteri Emanuela Del Re, sociologa e parlamentare pentastellata. “Nel corso della giornata, la Vice Ministra ha avuto un incontro bilaterale con il Presidente del Burkina Faso, Roch Mark Kaboré, cui ha espresso solidarietà per la crescente violenza del terrorismo nel paese”, riporta la nota della Farnesina. “L’Italia attribuisce una grande importanza al Burkina Faso per la stabilizzazione del Sahel ed esprime grande soddisfazione per la recente firma dell’accordo di cooperazione in materia di difesa che consentirà di aumentare la collaborazione bilaterale per la formazione nei settori del controllo delle frontiere e della lotta ai traffici illeciti”.

Alla luce dei report di Amnesty International e Human Rights Watch sui crimini delle forze armate burkinabé, ci sarà qualche ripensamento nel governo Conte oppure, come per l’Egitto di al-Sisi, prevarranno ancora una volta gli interessi del Sistema Italia?

Antonio Mazzeo
amazzeo61@gmail.com

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