Cornelia I. Toelgyes
7 giugno 2020
Il leader jiadista Abdelmalek Droukdal e alcuni suoi stretti collaboratori sarebbero stati uccisi. L’ha annunciato tramite il suo account twitter il ministro della Difesa francese, Florence Parly, due giorni fa: “Un grande successo nella lotta contro il terrorismo nel Sahel”, ma il condizionale è d’obbligo. Non sarebbe la prima volta che un capo terrorista dato per morto, “risorge”. Abdelmalek Droukdal e alcuni altri miliziani sono stati neutralizzati – secondo il ministro – con un blitz dei soldati francesi dell’operazione Barkhane – presente nei Paesi del G5 Sahel (Mali, Niger, Mauritania, Ciad e Burkina Faso) con un contingente di 5.100 uomini – con il supporto di altre truppe presenti sul territorio.
Secondo quanto è stato riportato dal portavoce dello Stato maggiore delle forze armate di Parigi, Frédéric Barbry, l’operazione militare si è svolta con l’intervento di truppe da terra, l’impiego di elicotteri e con l’appoggio dell’aviazione.
Parigi ha detto di aver effettuato un test del DNA, che ha convalidato l’identità del leader di AQMI. Si attende – se ci sarà – la conferma da parte del gruppo terrorista. Generalmente i jihadisti non nascondono la morte dei loro miliziani, tanto meno quella dei loro capi. Se è stato fatto fuori davvero, lo si saprà nei prossimi giorni. La prudenza in questi casi è d’obbligo.
Droukal è il leader di AQMI, acronimo francese per al-Qaida au Maghreb Islamique. Nel marzo 2017 diverse formazioni armate già attive nel Sahel, si sono unite dando vita a un nuovo raggruppamento (tra questi anche AQMI, Fronte per la liberazione di Macina, Ansar Dine, Al-Mourabitoun, guidato da Mokhtar Belmokhtar e altri ancora), che è stato chiamato: “Gruppo di sostegno dell’Islam e dei musulmani”. E’ capeggiato da Iyad Ag-Ghali, vecchia figura indipendentista touareg, diventato capo jihadista e fondatore di Ansar Dine – in italiano: ausiliari della religione (islamica) – e è alleato con al Qaeda e i talebani afghani.
Dunque il merito è soprattutto della Francia, che il 19 maggio scorso ha anche rivendicato la cattura di Mohamed el Mrabat, importante esponente jihadista di EIGS, acronimo francese per Etat islamique dans le Grand Sahara (Stato Islamico nel Grande Sahara), capeggiato da Abou Walid El Sahraoui. EIGS e GSIM sono gruppi rivali, ma sembra che da qualche mese le due formazioni abbiano siglato un accordo di non belligeranza, anzi, secondo alcuni analisti non si esclude che possano pianificare azioni comuni in futuro.
Il terrorista Abdelmalek Droukdal è algerino di nascita e è considerato il nemico numero uno nel suo Paese. La formazione armata AQMI da lui capeggiata, è responsabile di molti attentati e sequestri, tra questi anche l’uccisione, nel 2013, di 2 giornalisti francesi dell’emittente Radio France International (Rfi), Ghislaine Dupont e il suo cameraman Claude Verlon, rapiti da uomini armati mentre stavano facendo un reportage a Kidal, nel nord-est del Mali.
E mentre la Francia esulta per il successo nel Sahel, il presidente del Mali, Ibrahim Boubacar Keïta è stato fortemente contestato venerdì scorso durante una manifestazione che si è svolta a Bamako, la capitale del Paese.
Migliaia di manifestanti giunti anche dall’interno della ex colonia francese, hanno chiesto le dimissioni immediate del presidente, al potere dal 2013. La protesta è stata organizzata da un collettivo di associazioni della società civile e di partiti dell’opposizione, tra questi anche Coordination des mouvements, associations et sympathisants (CMAS) dell’influente imam Mahmoud Dicko.
La popolazione è insoddisfatta del leader del Paese, perchè, secondo loro, incapace di risolvere i molteplici gravi problemi, quali la crescente insicurezza, la galoppante corruzione, la chiusura di molte scuole, il collasso del sistema sanitario e quant’altro.
Cornelia I. Toelgyes
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