Cornelia I. Toelgyes
4 giugno 2020
Lo spettro del virus ebola riappare nuovamente forte e potente nel nord della Repubblica Democratica del Congo. Eteni Longondo, ministro della Sanità, ha annunciato ufficialmente il 1° giugno l’XI epidemia, il cui epicentro è attualmente a Mbandaka, capoluogo della provincia dell’Equatore, sulle rive del fiume Congo, dove la febbre emorragica ha già fatto 5 vittime. Altri casi sono stati segnalati a Bikoro, che dista 128 chilometri da Mbandaka.
L’ Organizzazione Mondiale della Sanità ha già inviato i suoi esperti sul luogo; nella stessa zona era stata registrata l’8 maggio 2018 la IX propagazione del virus, poi rientrata il 24 luglio dello stesso anno. Allora sono morte 33 persone, i casi registrati sono stati 54. I centri per la cura del terribile virus nella zona erano stati chiusi con la fine dell’epidemia nel 2018; ora stanno riprendendo la loro attività e alcune donne stanno già falciando le erbacce, ormai cresciute alte davanti all’entrata del padiglione abbandonato all’ospedale di Wangata; gli operai stanno rimettendo in funzione il generatore e il grande serbatoio dell’acqua. Si ricomincia a lottare, a sperare di poter vincere la battaglia anche questa volta.
La prima epidemia di ebola è scoppiata il 26 agosto, 1976, a Yambuku, città nel nord di quello che allora si chiamava Zaire e ora RDC. Il virus colpì un’insegnante di 44 anni, Mabalo Lokela, dopo un viaggio nell’estremo nord del Paese. Immediatamente si pensò che la donna fosse affetta da malaria. Ben presto si presentarono altri sintomi. Loleka mori l’8 settembre 1976. I morti durante questa prima epidemia apparsa in Congo, nella Valle dell’Ebola, furono 280.
Poi nel 1995 il micidiale virus ha colpito Kikwit, in Congo, e nel 2000 Gulu in Uganda.
E ancora non sono state nemmeno dichiarate “ebola free” le altre due province nell’est della ex colonia belga, dove è scoppiata la X epidemia il 1° agosto 2018 (Ituri e nel Nord-Kivu). Il 14 maggio scorso il ministero della Sanità di Kinshasa ha fatto sapere che ora bisogna attendere 42 giorni per poter mettere un punto finale a questo importante focolaio, durante il quale sono decedute 2.279 persone.
Per combattere l’ebola non bastano i vaccini; bisogna circoscrivere il contagio e per questo è necessario abbattere barriere culturali come sepoltura corretta dei cadaveri, registrazione degli ammalati, seguire attentamente chi è venuto in contatto con la malattia, per fare solo alcuni esempi.
Anche Covid-19 non ha risparmiato la ex colonia belga, dove finora sono stati ufficialmente segnalati 3.643 casi infetti, le persone guarite invece sono 495 e 77 le vittime. La maggior parte dei malati sono stati registrati a Kinshasa (3.306).
Come se ebola e coronavirus non bastassero, nel Paese si sta ancora combattendo la più grande epidemia di morbillo, anche se negli ultimi mesi i casi mortali sembrano essere diminuiti, grazie alla vasta campagna di vaccinazioni tutt’ora in atto. Dal 1° gennaio 2019 alla fine di marzo 2020 si sono verificati 348.153 contagi con 6.504 vittime su tutto il territorio nazionale.
Nel Congo-K, che conta poco più di 89 milioni di abitanti, non si muore solamente di epidemie. In diverse zone sono tutt’ora attivi gruppi armati che minacciano e terrorizzano la popolazione. Lo scorso fine settimana sono entrati nuovamente in azione miliziani del gruppo terrorista Allied Democratic Forces (ADF), un’organizzazione islamista ugandese, presente anche nel Congo-K dal 1995, in due villaggi nel territorio di Beni, Nord-Kivu. Secondo un primo bilancio ancora provvisorio, sono state uccise almeno 4 persone, altre sono state portate via con la forza.
Mentre nella notte tra martedì e mercoledì sono state brutalmente ammazzate altri 16 civili nel territorio di Djuga, nella provincia di Iuturi da combattenti apparteneti al gruppo armato CODECO (acronimo per Coopérative pour le développement du Congo). Tra le vittime anche donne e 5 bambini sotto i cinque anni.
A Kinshasa preoccupano inoltre parecchie morti sospette nell’entourage del presidente, Félix Antoine Tshilombo Tshisekedi. Ufficialmente la scomparsa di alcuni personaggi dei piani alti del governo sarebbero dovuti al coronavirus, ma si vocifera che siano stati avvelenati.
In particolare ha suscitato molto clamore la morte improvvisa di Raphaël Yanyi Ovungu, giudice che si stava occupando di un grave caso di corruzione; tra gli accusati anche il direttore del gabinetto del Capo dello Stato. Vital Kamerhe è indagato per corruzione, sottrazione di fondi pubblici, destinati al finanziamento di grandi opere. La magistratura ha aperto un’inchiesta e ha ordinato l’autopsia sulla salma del loro collega. E dai primi risultati emersi dall’esame necroscopico sembra che il giudice sia stato avvelenato. Si attendono ora ulteriori dettagli, i medici legali devono ancora determinare quale sostanza letale abbia provocato il suo decesso e forse anche di altri funzionari governativi.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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