Cornelia I. Toelgyes
3 giugno 2020
E’ passato poco meno di un anno dal rapimento di Seham Sergiwa, parlamentare libica: dal 17 luglio 2019 non si hanno più notizie della donna. E’ successo durante la notte, verso le 2 del mattino. Numerosi uomini armati con il volto coperto sono entrati nella sua casa a Bengasi (Libia) e hanno portato via con la forza Seham, molto conosciuta nel Paese anche come attivista per i diritti delle donne, contro le violenze esercitate nei loro confronti nel Paese. Durante l’incursione i rapitori hanno sparato e ferito a una gamba il marito, Ali, e picchiato selvaggiamente il figlio sedicenne della coppia.
I familiari residenti all’estero temono per la vita della loro 57enne congiunta, che potrebbe essere stata sottoposta a violenze, stupri e troture. Sono convinti che il sequestro sia stato messo in atto da forze vicine a Khalifa Haftar, leader della Cirenaica e a capo di Libyan National Army.
Poche ore prima che si consumasse il tragico fatto, Seham aveva rilasciato un’intervista televisiva a un’emittente pro Haftar, criticando gli “estremisti” vicini al generale. In tale occasione aveva chiesto che nel nuovo governo di unità nazionale venissero inclusi anche i fratelli musulmani . Un vero e proprio affronto, visto che il leader della Cirenaica li considera i suoi peggiori nemici.
L’onorevole, che ha in tasca una laurea in psicologia clinica conseguita al Kings College di Londra, ha sempre criticato i sanguinosi attacchi dell’esercito di Haftar a Tripoli.
Con le lacrime agli occhi, la nipote della rapita, Nicole, residente negli USA ha detto che Seham era tornata in Libia poco prima della caduta di Mu’ammar Gheddafi. “E’ una persona che dice quello che pensa, ha principi saldi. Non ha mai nascosto il suo dissenso nei confronti dell’operato di Haftar”, ha aggiunto. In un comunicato congiunto la famiglia ha descritto la loro parente come una donna moderata e progressista. Aveva lasciato la Gran Bretagna per aiutare il proprio Paese”.
Alcuni familiari hanno specificato che membri della 106esima brigata, comandata da uno dei figli del generale, sono stati visti nell’abitazione della rapita al momento del sequestro. Testimoni oculari hanno affermato che c’erano pure miliziani di un gruppo armato, conosciuto come particolarmente violento e brutale nei confronti dei civili.
E sulla facciata della casa è anche apparsa la scritta “the army is a red line” (l’esercito è una linea rossa): un chiaro avvertimento che significa “vietato criticare Haftar”.
Jalel Harchaoui dell’Istituto Chlingendael, un centro di ricerca con base all’Aja, ha precisato: “La Sergiwa è una donna molto colta, si è sempre impegnata e ha lottato per il rispetto dei diritti umani. Non ha mai condotto una crociata contro Haftar, ma ha voluto dimostrare al mondo che c’è un modo per essere indipendenti; riflessioni che non hanno trovato molta approvazione nell’attuale atmosfera che regna in Libia”.
Tarek El-Kharraz, ministro degli Interni del governo di Bengasi ha fatto sapere che le indagini sono in corso, un fascicolo in tal senso è stato aperto subito dopo il suo rapimento, ma esclude categoricamente il coinvolgimento delle forze della Cirenaica.
La Missione ONU per il Sostegno in Libia (UNSMIL), aveva espresso grande preoccupazione per la sparizione della deputata di Bengasi e aveva chiesto alle autorità libiche di accelerare le indagini e contemporaneamente aveva lanciato l’ennesimo monito sugli arresti extragiudiziali, sparizioni di persone a causa di divergenze politiche.
Tristi eventi che si ripetono frequentemente, quasi sempre a opera di gruppi armati. Innumerevoli famiglie attendono mesi, anni, per avere notizie dei loro cari.
Tim Eaton, analista di Chatam House (centro studi britannico, specializzato in analisi geopolitiche e delle tendenze politico-economiche globali) è convinto che il rapimento della donna indica chiaramente che Haftar e i suoi alleati non tollerano dissensi sull’offensiva di Tripoli.
Come in Siria e nello Yemen, il conflitto libico si è inasprito anche grazie a interferenze esterne. Qatar e Turchia supportano le forze di Tripoli, mentre Emirati Arabi Uniti, Egitto e in tono minore anche Arabia Saudita, Haftar – il loro intervento si colloca all’interno di una più ampia competizione per espandere la loro influenza su scala regionale e contrastare la fratellanza musulmana – con il silenzioso beneplacito della Francia. Roma e Parigi sono quindi schierati su fronti opposti.
Poche settimane fa Fatou Bensouda, procuratore della Corte Penale Internazionale dell’Aja ha fatto sapere di aver finalmente ricevuto informazioni sull’identità dei sequestratori della parlamentare libica.
La Bensouda ha anche annunciato che il suo team sta preparando nuovi mandati d’arresto per sparizioni forzate, torture, violenza sessuale, crimini commessi indiscriminatamente su uomini, donne e persino bambini.
Occorre bloccare l’impunità per questi reati e non solo sui civili libici. Gran parte delle vittime sono migranti detenuti nei lager dove si muore di stenti, fame torture, violenze inimmaginabili.
Basti pensare alla mattanza di qualche giorno fa. Ventisei bengalesi e 4 uomini di origine subsahariana sono stati brutalmente assassinati, altri 11 sono stati gravemente feriti a Mizdah, a 180 chilometri a sud di Tripoli. Il fatto è stato reso noto dal Governo di Accordo Nazionale della Libia, riconosciuto dalla comunità internazionale. Dai primi accertamenti sembra che si sia trattato di una vendetta della famiglia di un trafficante di uomini che da mesi teneva in ostaggio i poveracci. Secondo alcune fonti il criminale è stato ucciso dagli stessi migranti, stanchi delle torture, angherie e continue richieste di denaro.
Anche la Libia non è stata risparmiata dal coronavirus. Difficile stabilire i reali contagi e morti in un Paese in guerra. Le cifre ufficiali parlano di 168 casi e di 5 vittime. Altri 52 sarebbero guariti.
Cornelia I. Toelgyes
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