Cornelia I. Toelgyes
30 maggio 2020
Tanwalbougou, cittadina nell’est del Burkina Faso, nel dipartimento di Fada N’gourma, fino a poche settimane fa era persino sconosciuta alla maggior parte dei burkinabè. Il piccolo centro è salito alla ribalta delle cronache per la misteriosa morte di 12 presunti terroristi nelle celle della gendarmeria locale.
L’11 maggio i dodici, insieme a altri uomini (25 in tutto), erano stati arrestati al mercato e poi portati nelle celle delle forze dell’ordine per essere interrogati.
Il fatto sembra la fotocopia di quanto è successo in Ciad alla fine di aprile, anche allora erano morti ben 44 presunti miliziani di Boko Haram nelle celle di una gendarmeria.
I dodici presunti jihadisti sono morti poche ore dopo il loro arresto, durante la notte tra l’11 e il 12 maggio. Solo il 13, Judicael Kadéba, procuratore di Fada N’Gourma, ha reso noto l’accaduto.
La Magistratura burkinabè ha ascoltato questa settimana i sopravvissuti – 3 di loro erano rinchiusi nella stessa cella dei deceduti – e il capo della gendarmeria. I presunti terroristi hanno affermato di non aver sentito esplodere alcun colpo di arma da fuoco quella notte.
Subito dopo la mattanza un agente della gendarmeria ha confidato in modo anonimo a Radio France Internationale (RFI) che erano deceduti per soffocamento.
Nessuna autopsia è stata effettuata sui corpi, l’inumazione è stata effettuata due giorni dopo il decesso. Il procuratore ha precisato che in tutto il dipartimento non ci sono medici legali; sarebbe stato anche del tutto inutile chiedere a Ouagadougou, la capitale, l’invio di uno specialista in materia, dal momento che a causa del gran caldo i corpi delle vittime erano in stato di decomposizione già il giorno dopo la strage. Secondo gli esperti si potrebbero esumare le salme fra tre mesi per una necroscopia volta a determinare le cause della morte.
A Tanwalbougou – che in lingua gualmacena significa “pozza d’acqua per lavare i cavalli” – non si pulisce più il bestiame da tempo. Fa troppo caldo, i pozzi sono praticamente vuoti, come tutta Pencangou, una periferia della cittadina dove sono stati effettuati gli arresti: il mercato e i pochi negozi e attività commerciali sono tutti chiusi, sprangati. La maggior parte degli abitanti è fuggita. Un centinaio di loro ha trovato rifugio presso un leader religioso molto influente del luogo.
Alcune tra le persone ospitate nell’abitazione del religioso sono stati testimoni dell’arresto dei 25 sfortunati. Un anziano racconta: “Gli agenti ci chiedono di collaborare, ma noi abbiamo paura di loro nella stessa maniera come siamo terrorizzati dai jihadisti. Vedete quell’uomo laggiù? Ha una sessantina d’anni; durante la strage ha perso suo fratello minore di 50 e suo figlio di 20 anni. Quando un vecchio come me vive tutti giorni nel panico è spacciato, sono un morto vivente”.
Diverse fonti hanno rivelato all’Agenzia di stampa francese (AFP) che la morte delle persone in custodia è certamente dovuta a un “incidente” provocato dagli agenti, in quanto la maggior parte dei detenuti era di etnia fulani, regolarmente accusati di collaborare con i jihadisti. E “incidenti” simili sono già accaduti nel recente passato in Burkina Faso.
Nel luglio 2019 sono morte 11 persone nei locali dell’anti-droga nazionale; gli agenti avevano il sospetto che si trattasse di narcotrafficanti. I responsabili sono stati sospesi dal loro incarico e un’inchiesta è tutt’ora in corso.
Recentemente le forze di sicurezza sono state più volte accusate di “incidenti” e/o “abusi” nei confronti della popolazione di etnia fulani. Qualcuno è stato ritrovato morto, altri sono semplice spariti. Tra dicembre e gennaio è stata accertata la sparizione forzata di 4 persone a Ouagadougou, e guarda caso erano tutti fulani.
L’esercito burkinabè e i gruppi di autodifesa – spesso di etnia mosso, che rappresentano il 40 per cento della popolazione della ex colonia francese – per contrastare gli attacchi jihadisti, sono anche responsabili di massacri di civili fulani nel nord e nell’est del Paese. Spesso vengono confusi con membri del gruppo terrorista Ansarul Islam – vi aderiscono per lo più persone di etnia fulani – particolarmente attivo nel nord del Burkina Faso. Il loro leader è Jafar Dicko, fratello di Ibrahim Malam Dicko, predicatore burkinabé ucciso nel 2017. La formazione terrorista è legata a Ansar Dine.
Proprio ieri lo Stato maggiore dell’esercito burkinabè ha fatto sapere che sono stati uccisi 10 jihadisti a Worou, nella provincia di Sourou, nell’ovest del Paese. Mentre qualche giorno prima hanno fatto la stessa fine altri 8 pesone durante un’operazione congiunta delle forze armate del Burkina Faso e della Costa d’Avorio al confine tra le due nazioni. Altri 38 sono stati arrestati.
Specie in zone remote dove lo Stato è poco presente, proliferano oltre ai terroristi anche bande di criminali, non di rado si comportano in modo molto simile durante gli attacchi. Sta di fatto che entrambi cercano corridoi per poter svolgere indisturbatamente i loro loschi affari: contrabbando di armi, sigarette, droga e quant’altro. Ora cercano di conquistare un nuovo varco nell’ovest, al confine con la Costa d’Avorio.
I soldati dell’esercito burkinabè sono mal equipaggiati e poco addestrati. Non riescono far fronte alle incursioni e attacchi dei terroristi, malgrado il sostegno delle forze francesi dell’operazione Barkhane, presente in tutto il Sahel con 5.100 uomini. Dall’inizio delle sanguinarie incursioni sono morte oltre 850 persone, quasi 850mila sono sfollati, altri cercano protezioni in Stati confinanti per fuggire alle violenze.
In un suo recente rapporto Human Rights Watch ha evidenziato che proprio a causa della crescente insicurezza sono state chiuse oltre 2.500 scuole in Burkina Faso. 350mila alunni o forse più vengono privati dell’istruzione e 11.200 insegnati hanno perso il loro posto di lavoro. Le lezioni in questi presidi sono state sospese ben prima dell’arrivo della pandemia. La maggior parte degli istituti scolastici su tutto il territorio nazionale sono non operanti al momento attuale, misura imposta dal governo per contrastare l’espandersi di Covid-19.
Anche il Burkina Faso non è stato risparmiato dalla pandemia: 847 casi positivi e 53 vittime. Il già fragile sistema sanitario per contrastare Covid-19 è al collasso. Per contrastare il temibile virus sono stati arruolati 15mila volontari che supporteranno l’équipe del coordinamento per contrastare il coronavirus e i Comuni nella gestione sanitaria e delle attività commerciali.
Cornelia I. Toelgyes
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