Cornelia I. Toelgyes
22 maggio 2020
Avevano quasi accantonato ogni speranza, vivevano da anni in condizioni precarie e di povertà nei campi di transito di Addis Ababa e Gondar, ieri per 119 falascià il sogno di una vita si è trasformato in realtà: sono atterrati giovedì all’aeroporto Ben-Gurion vicino al Tel Aviv, accolti dal ministro per l’Immigrazione Pnina Tamano-Shata.
Nei loro occhi si legge la felicità, malgrado le mascherine in volto, un must per arginare l’espandersi della pandemia.
A fine marzo, poco prima che l’Etiopia chiudesse le sue frontiere per Covid-119, erano già arrivati 14 nuclei familiari falascià (72 persone in tutto). Poi il governo dello Stato ebraico avevo sospeso i voli per motivi sanitari. Tempo fa la Knesset aveva approvato e pianificata per marzo 2020 l’immigrazione per 250 ebrei etiopi.
Per la prima volta nella storia di Israele è stato nominato un ministro di origine etiopica. Si tratta dell’avvocato Pnina Tamano-Shata, che dal 17 maggio è a capo del dicastero per l’Immigrazione. La neo-ministra si trova nel Paese dall’età di 3 anni, grazie agli interventi top-secret “operazione Mosè”, “ operazione Giosuè” e “operazione Salomone”, effettuati dall’allora governo di Tel Aviv tra l’84 e il ’91.
Alla fine degli anni settanta, minacciati da carestie e repressione del governo etiope, molti Beta Israel, come preferiscono farsi chiamare, visto il significato negativo che la parola falascià ha assunto nella lingua amarica (emigrato o straniero), passarono in Sudan. Purtroppo il governo musulmano sudanese fu altrettanto ostile nei loro confronti. Israele prese allora la decisione di trasportarli nel proprio territorio tramite ponti aerei.
Attualmente nello Stato ebraico vivono 140.000 falascià, per lo più in miseria, soggetti a discriminazioni di ogni genere, ma ciò che contestano maggiormente è il crescente razzismo. Solo la metà dei giovani ebrei di origine etiopica riesce ad ottenere il diploma, contro il sessantatré per cento del resto della popolazione.
Anche se alcuni di loro hanno raggiunto posizioni importanti nell’esercito, nel pubblico impiego, altri sono diventati politici di rilievo e occupano una poltrona alla Knesset, la loro vita in Israele non è semplice e in linea di massima guadagnano un terzo in meno rispetto alla media.
Dall’inizio della pandemia Israele ha registrato 16.670 casi, tra questi 13.617 sono guariti, mentre le vittime sono 279. In Etiopia le persone ufficialmente infette sono 399 con 123 guarigioni e 5 decessi.
Cornelia I. Toelgyes
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