Massimo A. Alberizzi
10 maggio 2020
Silvia Romano è libera arrivata all’aeroporto di Ciampino oggi pomeriggio, puntualissima, e noi di Africa ExPress ne siamo particolarmente felici. Ci abbiamo creduto e abbiamo continuato a crederci assieme ai nostri lettori – che non finiremo mai di ringraziare anche per il sostegno finanziario che ci hanno assicurato in questi mesi – e ai colleghi del Fatto Quotidiano che ci hanno appoggiato con entusiasmo.
Quando tutti ci dicevano che era stupido continuare a sperare, noi abbiamo caparbiamente e puntigliosamente continuato a cercare. E abbiamo proceduto con la nostra inchiesta. Sapevamo che solo tenendo accesi i riflettori a dispetto di tutti, Silvia sarebbe tornata. Sapevamo che era viva. E l’abbiamo sempre detto con il coraggio dell’ottimismo.
Due i motivi che ci permettevano di credere e sperare.
Primo, un ostaggio è prezioso e se succede qualcosa non ha più alcun valore. I rapitori, quindi, hanno tutto l’interesse a tenerlo in vita.
E poi se a Silvia fosse accaduto qualcosa, le mille bocche della savana ce l’avrebbero raccontato. In Somalia, Paese dove chi ha una certa età parla ancora italiano, Africa ExPress può contare su diversi amici e informatori che in questi mesi si sono comportati come vedette per capire se ci fossero stati danni alla giovane “gal” (termine che in Somalia sta per “infedele” oppure “bianca”). Perfino gli shebab che mi hanno rapito qualche anno fa a Mogadiscio mi avevano fatto sapere che se Silvia avesse perso la vita loro l’avrebbero saputo e mi avrebbero informato.
In mancanza di notizie inequivocabili abbiamo sempre avuto la fiducia e la certezza che Silvia ce l’avrebbe fatta. Qualcuno, quando proseguivamo nelle indagini, ci ha anche accusato di essere affetti dalla sindrome “ossessione per Silvia Romano”.
E poi le sue amiche e amici. Grazie a tutti voi, ragazze e ragazzi. Leali verso Silvia che avete guardato con grande ammirazione. Ce l’avete sempre descritta come una ragazza tosta, determinata e mossa da grandi ideali. Non si sarebbe mai piegata ai suoi rapitori, se non come strategia per soffrire meno pretesti per eventuali angherie. Solo il giornalismo dello scandalo che ora va tanto di moda ma che non informa può sostenere che Silvia si sia convertita con convinzione all’islam. Se qualche reporter avesse investigato un pochino più a fondo avrebbe scoperto che la ragazza è atea. Perché quindi ancor prima del suo arrivo in Italia arzigogolare ipotesi – anzi certezze – di una sua convinta adesione alla religione di Allah? Per qualche click in più? Non è questo il giornalismo che vogliamo.
Grazie Alice, Giulia, Jessica, Lilian, Maria Sole, Maurizio, Sara 1, Sara 2, Andrea, Tiziana e sicuramente ho scordato qualcuno. Parlare con voi, ci ha sempre spinto e incoraggiato a continuare l’indagine. A non mollare.
Durante questi mesi ci hanno indignato quanti invece di preoccuparsi della sorte di Silvia continuavano a ripetere il raccapricciante ritornello, “Se l’è cercata”. Giornali spazzatura che non meritano neppure di essere citati, e giornalisti che non cercano la verità ma meri interessi di parte. La fantasia si sbizzarrisce e galoppa nel mondo dell’incerto dove tutto diventa scialbo e senza contorni. Quando Silvia avrà voglia di raccontare il suo incubo vedremo se verranno a galla le certezze di certo giornalismo: è stata costretta a imparare il Corano a memoria… A sposare un jihadista.
Mentre noi con la nostra lunga inchiesta cercavamo di stimolare le autorità a intervenire più in fretta possibile c’erano giornalisti che si accontentavano di riportare le scarne note delle fonti ufficiali che di tanto in tanto – senza spiegare alcunché – si auguravano una pronta conclusione positiva del caso.
Qualcuno è arrivato addirittura ad additarmi come “irresponsabile” perché osavo fare il mio lavoro di giornalista, perché Africa ExPress voleva che l’opinione pubblica sapesse ciò che stava accadendo a Silvia.
E poi siamo stati oggetto di denigrazione da parte di siti intenti a tutelare più gli interessi turistici della costa keniota che la vita della ragazza. Nessun giornale oltre ad Africa ExPress, il Fatto Quotidiano e sporadicamente la RAI si è peritato di seguire a Malindi il processo ai tre dei presunti rapitori. E persino i diplomatici sono scomparsi. L’ambasciata solo in un caso ha inviato una gentile e cordiale funzionaria a seguire il processo.
Silvia è tornata ma a noi restano stampate nel cervello e nel cuore alcune domande ancora insolute.
Per esempio, perché non è stato dato seguito a una richiesta di riscatto – com’è scritto nelle carte processuali – giunta una ventina di giorni dopo il rapimento? Secondo quanto ci hanno raccontato alcune fonti diplomatiche autorevoli dall’Italia era arrivato un ordine perentorio: non si paga. E’ vero o no? Al governo allora c’era una forza politica normalmente intransigente su queste cose non è poi così strampalato pensare che un ordine del genere sia realmente partito da Roma.
E poi perché pochi giorni dopo il sequestro il gruppo di ranger che stava per mettere le mani sul bivacco dove si erano fermati a riposare rapitori e rapita, è stato fermato? Forse la difficile vicenda si sarebbe conclusa in brevissimo tempo.
Ma la domanda clou è un’altra. Quando sono cominciate le trattative? E’ importante per sapere se si è negoziato sul prezzo del riscatto che dalla Somalia assicurano sia stato pagato. Un riscatto che non è solo pecuniario ma potrebbe essere stato anche politico
Infine, mi ha sorpreso assai l’enfatizzazione del ruolo dell’Aise, cioè i servizi di intelligence esterni. Curioso che il presidente Giuseppe Conte abbia dato l’annuncio con due twitter praticamente identici tranne che per la parola “esterna” aggiunta accanto a intelligence. Una fonte confidenziale inoltre ha riferito ad Africa ExPress che ormai da tempo la rete di informatori che l’Italia aveva tessuto nel Corno d’Africa è stata praticamente smantellata: “Infatti, perché servirsi della mediazione della Turchia? Non avremmo potuto incaricare direttamente i somali a trattare il rilascio della ragazza. I costi anche quelli politici sarebbero stati assai minori”.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi
Sono da poco passate le due in un pomeriggio di tarda primavera e Silvia Romano esce dal buio di una prigionia durata diciotto lunghi mesi. Scende dall’aereo militare, sempre scortata dai rappresentanti dei reparti speciali, e cammina con passo deciso – forse si sforza di non correre – verso i suoi genitori, laggiù nel terminal. Senza rallentare saluta chi la stava aspettando a distanza di sicurezza . È un gesto spontaneo, senza alcuna enfasi, che raddoppia la forte emozione dell’attesa sulla pista di questa parte dell’aeroporto di Ciampino riservata all’aeronautica. Il suo “ciao a tutti” arriva al cuore. Chissà che cosa starà provando questa ragazza che sorride sotto la mascherina obbligatoria… Poi un momento di libertà, di gioia profonda, in pochi secondi è tra le braccia della madre, Francesca Fumagalli; l’unico abbraccio permesso in questo periodo, proprio sotto gli occhi di Giuseppe Conte, che forse approva con un cenno e sicuramente fa un passo indietro, presente ma discreto. Anche il padre Enzo la stringe a sé in una scena che finora avevamo solo potuto sognare, ma che era nella mente si chi ha sempre creduto che Silvia fosse viva e che questo 10 maggio 2020 sarebbe arrivato.
Costanza Troini
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