AFRICA

Benin: il coronavirus si scaccia con il vodoo, ogni Paese ha una propria cura

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
29 aprile 2020

Il Benin, dove il vodoo è la religione di Stato, gli adepti sono convinti che la pandemia sia una vendetta degli dei, una punizione contro coloro che hanno voluto sfidare la natura. Nella culla del voodismo, questa visione si è diffusa più velocemente del Coronavirus stesso e per combatterlo ognuno deve compiere un rituale particolare.

L’essenza propria del vodoo è quella di adorare gli spiriti del mondo invisibile e di conciliare la loro potenza e la benevolenza. Il ruolo del culto è stabilire una relazione tra l’uomo e queste forze occulte.

Un fedele in trance danza durante il festival del voodoo a Ouidah, in Benin (foto © AFP/File / Stefan Heunis)

Lo storico e specialista del vodoo, Gabin Djimass, è convinto che quando si provoca la natura, talvolta questa reagisce in modo violento. Djimass ha spiegato: “Il coronavirus è una punizione contro quelli che l’hanno distrutta o manipolata geneticamente, pensando solamente al profitto o alle proprie ambizioni. L’uomo è egoista, pensa solo a se stesso, mentre la natura gli dona tutto”.

Finora il Paese è stato poco toccato dalla pandemia; infatti sono stati registrati solamente 64 contagi, 33 dei quali dichiarati guariti e un solo decesso su una popolazione di 11,5 milioni di abitanti.

Patrice Tallon, presidente della ex colonia francese non ha imposto il lockdown, la popolazione è troppo povera per poter sopportare un tale peso. Il governo ha comunque messo in atto altre raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), come l’obbligo di portare le mascherine, chiusura delle frontiere, limitazione negli spostamenti all’interno del territorio nazionale e quant’altro.

Poco più di un anno fa le antiche famiglie reali di Abomey, ex capitale dell’antico regno di Dahomey, hanno nominato un nuovo re, Dada Sagbadjou Glèlè, dopo la morte del suo predecessore. I monarchi di Dahomey sono tutti “grandi sacerdoti” del culto tradizionale vodoo. L’attuale sovrano Glèlè, e, secondo l’ordine genealogico è il solo capo della collettività ad essere un discendente diretto – pare sia l’unico pronipote ancora vivente – del re Glèlè, padre di Béhanzin, grande figura della resistenza africana, che si era opposta all’imperialismo europeo. Ma oggi le cose sono cambiate. La ex colonia francese è una Repubblica e gli antichi sovrani di Abomey sono stati “delcassati” a leader religiosi.

Ma è ugualmente un ruolo da non sottovalutare, in quanto non solo tutti dignitari vodoo riconoscono l’autorità del sovrano di Abomey e sono suoi fedelissimi, ma anche i politici lo considerano uno dei grandi elettori e alla vigilia di ogni tornata elettorale si recano alla sua corte.

Nel 1685 Abomey, fondata dalla popolazione fon, è diventata la capitale del Dahomey, era uno dei regni più importanti dell’Africa occidentale. Dal diciasettesimo fino al diciannovesimo secolo i dodici re che si sono susseguiti fino al 1900, hanno fatto costruire palazzi, realizzati in materiale tradizionale, su una superficie di quarantasette ettari. Nel 1985 sono stati dichiarati dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. Anticamente la città era circondata anche da un muro costruito di fango.

Non bisogna dimenticare che i fon sono stati anche grandi commercianti di uomini; la ricchezza e il potere di Abomey era dovuta sopratutto alla tratta degli schiavi che praticavano in cambio di armi. Infatti Dahomey sorge proprio sul luogo tristemente chiamato “Costa degli Schiavi”.

Le amazzoni di Dahomey

Nel 1892 la città è stata parzialmente distrutta da un terribile incendio, appiccato da Behanzin, l’ultimo sovrano del regno, prima di cedere la città ai francesi. Behanzin era stato incoronato nel 1890, anno che coincide con l’espansione coloniale francese nel Dahomey. Per contrastare l’invasore, il re aveva formato un esercito di venticinquemila uomini e truppe speciali, composte da cinquemila donne, le Amazzoni. Erano intoccabili e vergini giurate. Si identificavano con il nome di “N’Nonmiton”, tradotto in italiano “nostre madri”. Erano armate di moschetto olandese e di machete e decapitavano velocemente le loro vittime. Venivano reclutate ancora bambine, tra gli otto-nove anni. Se un francese tentava di avvicinare una delle amazzoni, il giorno dopo lo si trovava morto nel suo letto.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

Cornelia Toelgyes

Giornalista, vicedirettore di Africa Express, ha vissuti in diversi Paesi africani tra cui Nigeria, Angola, Etiopia, Kenya. Cresciuta in Svizzera, parla correntemente oltre all'italiano, inglese, francese e tedesco.

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