Chiara Cavallazzi
In viaggio da Conakry all’Italia, marzo 2020
(2/2 – fine)
Quindi si va a Parigi. Tra 4 ore bisogna essere all’aeroporto. Devo ancora tornare nella casa dove abitavo, impacchettare ciò che ho lasciato lì, cambiare i soldi guineani che mi sono rimasti se no arrivo in Europa con solo 50 euro, e precipitarmi all’aeroporto. Ma una volta a Parigi dove vado? Mi faranno uscire dallo scalo?
Dove dormirò? E con la carta di credito bloccata come faccio? Mi viene in mente che ho una amica che viveva a Parigi. Ci vive ancora? La contatto. Risponde! Vive ancora a Parigi. Mi dice che si informa.
Dopo un paio d’ore mi rincuora: una sua collega può ospitarmi nel suo appartamento… Grazie, grazie, grazie… Almeno so che da qualche parte potrò andare…
Arrivo in tempo all’aeroporto di Conakry. Sono giorni che non mangio. Anche nel Paese dove ero, si mangia solo pesce e carne, per di più poiché erano in corso le votazioni per il referendum era vietato uscire di casa. Dato il caldo terribile non ero riuscita a mangiare neppure le scatole di fagioli che avevo messo da parte. Non toccavo cibo né dormivo da giorni. Ma ce l’avevo fatta: almeno era all’aeroporto.
Origlio tutte le persone in attesa, sperando di trovare qualcuno che parli italiano. Lo trovo. “E lei ora dove va?”, chiedo. “In Italia”, risponde. “Come in Italia! Mi hanno detto che non ci sono voli per l’Italia”. “Io ce l’ho. Da Parigi a Roma”. Mi mostra il biglietto. Cavolo é vero!
Mi fiondo all’agenzia di viaggi dentro l’aereoporto. La tipa addetta a controllare la coda mi urla qualcosa. Non vuole che abbandoni la fila per il check-in. Io provo a spiegare. Lei continua a urlare.
Non le do retta e fuggo all’agenzia. Ma la tipa allo sportello non ne sa nulla, non può fare nulla e mi ordina di tornare in fila. Detto fatto.
Dopo il check in, mi metto al telefono per cercare di contattare Alitalia e comprare così il volo dalla capitale francese a Roma. Ma via internet non riesco a prenotare il biglietto e nessuno risponde ai numeri italiani di Alitalia. Cerco allora altri uffici della compagnia in giro per il mondo, sperando in una risposta.
Intanto, ho cominciato a parlare con una persona seduta vicino a me, che ha passato la maggior parte del tempo attaccata al telefono. Gentile, mi offre, se ho bisogno, di utilizzare il suo Skype per chiamare. Colgo al volo l’occasione e provo a contattare Alitalia in Argentina. Rispondono! E dicono che possono prenotarmi il volo!
Dopo mezz’ora di spelling in inglese riesco a fornire tutti i miei dati (nome, cognome, indirizzo, email, passaporto …) ed é ora di pagare. Provo con la carta di credito. Rifiutata. Provo con la carta di credito virtuale. Rifiutata, perché si appoggia a quella bloccata.
Chiedo se può eventualmente pagare mio fratello. Dicono di sí, ma che a volte se si paga il biglietto con un’altra carta di credito, il proprietario del documento ti deve accompagnare all’aeroporto per verifica. In effetti mi hanno giá fatto saltare un biglietto per il Portogallo con questa motivazione. Non so che fare… Improvvisamente mi viene in mente che ho una carta postepay, ma non ho idea di quanti soldi ci siano dentro.
Provo a dare i dati e… funziona!!! Ho il biglietto per Roma!!!! Ancora non so dove andare però, una volta rientrata in Italia. Chiamo qualcuno in cerca di consigli e … magia delle magie… Mirtilla (una dolcezza di essere umano di nome e di fatto) mi dice: “Ma i tuoi non hanno una casa al mare?” Cavolo é vero!! Come avevo fatto a non pensarci! Ed è in un posto bellissimo in Liguria. Ha pure la terrazza, ideale per la quarantena!
Chiamo mio fratello per sapere se c’é qualcuno in paese che ha le chiavi della nostra casa al mare. Si, c’é. Evviva! M’imbarco per Parigi piena di fiducia. Appena mi siedo al mio posto m’addormento e resto in stato semi-comatoso per le poche ore della durata del viaggio.
Alle 3 di notte atterro a Parigi. Aeroporto deserto. Io sono ancora stanca morta. Metto la valigia grande a terra e mi ci sdraio sopra usando il bagaglio a mano come cuscino. M’addormento per un paio d’ore.
Al mio risveglio cerco i treni per raggiungere la casa al mare dopo che, col prossimo volo, arriverò a Roma. C’é solo un convoglio al giorno. ma non faccio in tempo a prenderlo poiché atterrerò a Roma un’ora prima della sua partenza.
Dovrò restare a dormire a Roma. Mi chiedo se é tutto chiuso per il coronavirus o se ancora si riesce a prenotare una stanza per la notte. Per fortuna trovo un hotel Ma i problemi non sono finiti.
Scopro che nel paese dove devo andare non vogliono gli “stranieri”. Cioé i non residenti o domiciliati. La polizia al telefono dice che arrestano tutti coloro che non abitano lì. Mi sembra una reazione esagerata, ma penso sia più che altro un deterrente. Comprendo infatti il desiderio di tutelare chi vive in questo paese e di voler evitare i proprietari di una seconda casa vengano qui da tutta Italia, ma la cosa non mi aiuta.
E ora? Cerco il modulo da compilare per gli spostamenti per capire cosa mi ê consentito e per verificare se effettivamente mi possono arrestare. Vedo che chi arriva dall’estero può tornare alla propria residenza, domicilio o abitazione.
Ricerco le definizioni legali per residenza, domicilio o abitazione. Il domicilio lo si puó autoeleggere e non ha bisogno di essere approvato dal Comune… Ma come lo autoeleggo? Scarico qualche modulo da internet e scrivo a mano il documento per eleggermi il domicilio. Ma immagino qualcuno dovrá firmarlo, validarlo o altro. In internet leggo che basta sia riconosciuto da qualcuno della Pubblica Amministrazione.
É intanto giunto il momento di imbarcarmi per Roma e così trascorro questa parte del viaggio dormendo in aereo.
Quando arrivo finalmente in Italia provo a spiegare la mia situazione alle forze dell’ordine dell’aereoporto, chiedendo se possono firmare il documento nel quale autoeleggo il mio domicilio nel piccolo paese dove intendo recarmi. Ma non lo fanno. Mi dicono che anche il foglio che sto compilando é un’autocertificazione e quindi è sufficiente. Non sono certa che questa interpretazione sia valida. Così riprovo con la polizia alla stazione dei treni di Fiumicino e poi a Termini: stessa cosa
Ok. Più di cosí non posso fare. Mi rassegno e, dopo aver passato la notte in una stanza vicina alla stazione Termini, mi avvio in treno per la casa al mare non sapendo se mi fermeranno prima dell’arrivo alla mia destinazione, previsto nottetempo.
Mentre sono in treno realizzo che con le mie valigie dovrei fare almeno un chilometro a piedi per recuperare le chiavi e altri tre per raggiungere la casa. Immagino ci vorranno ore. Senza grandi speranze cerco in internet di contattare un taxi. Trovo il numero, chiamo. Risponde. L’interlocutore mi chiede se sono munita di mascherina (certamente e anche guanti) e mi dice che può venirmi a prendere in stazione. Urrá!!!
Al mio arrivo per fortuna non c’é la polizia ad attendermi, ma nemmeno il taxi. Lo richiamo, dice che sta arrivando. Si scusa, arriva dopo pochi minuti e finalmente riesco a giungere a casa.
Sono stanchissima, ma ancora di più affamata.Trovo due sacchetti di pasta, sugo alle olive e un barattolo di ceci. Evviva si mangia!
In casa ci sono 10 gradi. Accendo il riscaldamento, prendo tutte le coperte che trovo e le metto sul letto. Ce l’ho fatta. Ancora non so bene come, ma ce l’ho fatta. La notte é agitata, dormo poco e male, sudo tantissimissimo.
Il giorno dopo mi sveglia la visita della polizia. Inizialmente gli agenti sono abbastanza aggressivi; vogliono capire perché sono qui e non alla mia residenza. Faccio un breve riassunto dell’avventura passata per tornare in Italia, raccontando che non ho avuto modo di preparare il mio rientro organizzato assai in fretta e che a Milano non posso fare la quarantena perché casa mia é piccola e c’è dentro un’altra persona. Non avendo trovato altre alternative ho eletto quindi a domicilio questo appartamento. A differenza della residenza il domicilio non deve essere comunicato o approvato dal Comune (stupore generale),
Pensando di cogliermi in fallo, gli agenti chiedono “Ma ha avvisato l’Asl locale?” “Certamente”, rispondo pronta. Si stupiscono e me lo richiedono. Io confermo. In effetti, ho speso la notte prima e il viaggio in treno scrivendo emails all’Asl per avvisare del mio rientro. Mi rimpallavano da una email all’altra e avevo inviato almeno dieci email diverse prima di beccare quella giusta, ma alla fine mi avevano risposto inviandomi la conferma di ricezione.
Si calmano un poco e paiono capire le mie oneste intenzioni, anche se mi salutano con: “Se venendo qui ha infranto la legge la chiameremo”. Finora nessuno mi ha chiamato.
I primi 3 giorni li ho passati a dormire, svegliarmi per mangiare, tornare a letto, risvegliarmi per mangiare…. l’umore sottoterra, la lacrima facile, la stanchezza che si faceva sentire soprattutto dal punto di vista emotivo.Poi é arrivato ieri.
Mi sono finalmente svegliata di buon umore. E sul telefono trovo che un’amica mi ha inviato un link a “Somewhere over the rainbow” che ascolto appena sveglia. Vado in terrazzo e ballo per mezz’ora, celebrando la vita. Mi sento rinata. Mi sono tornate le energie e rispuntate la fiducia e la speranza per il futuro.
Inizierò a coltivare cibo sul terrazzo e monterò i video che nell’ultimo anno ho lasciato in sospeso. Tra dieci giorni potrò uscire a fare la spesa e sbirciare il mare. Tra un po’ più di tempo avrò anche la possibilità di andare a camminare nei boschi qui intorno.
Più in lá potrò finalmente prendere un pezzo di terra con altre persone simili a me e cominciare una comunitá in armonia con la natura e con noi stessi. Tutto mi sembrava grigio ieri. Tutto mi sembra pieno di possibilità oggi.
É propri vero che non c’é come uscire da un periodo nero, per apprezzare la luce. E non c’é come temere la morte per apprezzare la vita.
Chiara Cavallazzi
www.videoj.org
(2/2 – fine)
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