AFRICA

Ritorno rocambolesco dalla Guinea con l’Europa bloccata dal virus

Speciale per Africa ExPress
Chiara Cavallazzi
In viaggio da Conakry a Milano, marzo 2020

E sono rimpatriata. Ovviamente in modo roccambolesco. E al pelo.

Ero appena arrivata a Dinguiraye, a 500 km da Conakry, la capitale della Guinea. Cinquecento chilometri di strada sterrata alternata a brevi tratti asfaltati ma martoriati di continuo da buche gigantesche (veri e propri crateri). C’erano voluti 4 giorni di viaggio per arrivare nella città  anche perché avevo viaggiato su una macchina  con problemi alle sospensioni: 20 km/h era stata a nostra velocità media.

Una volta giunta a destinazione, scopro che in Guinea, dopo aver trovato 3 persone col coronavirus che stavano entrando nel Paese, hanno chiuso gli aeroporti per un mese.

Chiara Cavallazzo in partenza con minivan verso la capitale Conakry

La cosa non mi piace per nulla; non voglio rischiare di restare incastrata nel bel mezzo della Guinea per chissà quanto tempo. La Guinea è uno dei Paesi più ricchi al mondo dal punto di vista delle risorse naturali, ma è anche uno dei Paesi più poveri se si guardano le condizioni di vita della popolazione.

NIENTE VOLI PER CASA

Chiamo l’ambasciata italiana per avere informazioni. Al momento mi rispondono che per un mese non ci sono aerei per ritornare a casa. ma dopo pochi minuti ricevo una mail dai funzionari della sede diplomatica, secondo cui domani forse c’é un aereo della Air France per Parigi. Rimpatrieranno  i francesi e, solo se rimane posto, imbarcheranno anche gli italiani.

Domani? E come faccio a essere a Conakry in poche ore? E poi, siamo sicuri che c’é l’aereo? Mi chiama l’ambasciatore, calmo e gentilissimo; mi dice che le voci su un aereo in partenza non sono del tutto fondate perché ancora non aveva ricevuto alcuna conferma.

Metto giù con l’ambasciatore e guardo le email: mentre parlavo con lui dall’ambasciata ricevo conferma molto probabile di un volo per il giorno successivo. Decisamente l’ambasciatore non é gran che informato.

Mi fiondo a chiudere le valigie mentre si riesce per miracolo a trovare un minivan che sta per partire per Conakry, 500 km no stop. Mi danno 20 minuti per essere al punto di ritrovo delle partenze. Intanto mi tempestano di telefonate: “Dove sei?”, “Guarda che partiamo!”. Li imploro: “No, aspettate!”,  “Sto arrivando”.

Mi scapicollo, per scoprire che non stavano per nulla aspettando me per partire, bensì stavano aggiustando la ruota di scorta.

Finalmente si parte. Come da normale prassi africana, dopo il primi 50 chilometri foriamo. Scopriamo che la ruota di scorta che stavano aggiustano é inutilizzabile perché il nostro autista ferma un’altro minivan e si fa prestare la loro ruota di scorta… cominciamo bene…!

Nel mezzo del nulla, lungo la strada sterrata, appaiono dei venditori di cibo con anche qualche piccola cucina. Ci fermiamo per mangiare qualcosa (gli altri! perché per me di commestibile senza carne c’erano solo delle arance).

TENTATIVO DI TRUFFA

“Ehi, cara,  devi pagare il tuo biglietto”,  mi arringa  mentre mangia una persona che é con me sul bus.

“Si – gli rispondo – , ma io non ti conosco e il biglietto non lo pago a te. Lo pago al conducente”

Ma se mi hai visto.  Siamo assieme sul bus”

“Vero, ma io non so chi sei. Pago solo al conducente” . E me ne vado

Si riparte. Dico all’autista che un passeggero mi ha chiesto i soldi del biglietto. Risponde che non ha nulla a che fare con lui. In effetti il truffatore dopo duecento chilometri scende dal bus e se ne va su uno scooter… C’ha provato eh!? Gli faccio dei gestacci con la mano mentre ci allontaniamo sul bus.

Arriva la notte. L’autista che sembrava tanto prudente sullo sterrato, si trasforma in un pazzo scatenato quando trova l’asfalto. Sfreccia come un razzo, supera dove non si vede nulla, prende le curve stando nella corsia sbagliata…

Gli chiedo se disprezza la vita. Mi dice di no. Gli faccio notare che se va avanti cosí rischia di morire e di ammazzarci tutti. Si quieta un poco.

ARRIVA LA PIOGGIA

Comincia a piovere, si coprono con un telo i bagagli sistemati sul tetto del minivan e si riparte, con una visibilità tendente allo zero.

Il viaggio sembra non finire mai… passo tutta la notte sveglia a guardare la strada, più concentrata che se stessi guidando io stessa. Ci fermano a più posti di blocco. Anche se é tutto in regola, come di norma i militari pretendono comunque che gli si diano dei soldi. La micro corruzione in Guinea non concede sosta.

Stazione bus, Conakry

Arriviamo a Conakry dopo 16 ore di viaggio, oramai é mattina. Sedici ore a vibrare e senza praticamente mai togliermi la mascherina che mi schiaccia il naso…

A Conakry qualcuno dovrebbe venirmi a prendere al punto di arrivo. Fermata dopo fermata, scendono tutti dal bus, e resto solo io con l’autista e i suoi 2 aiutanti che hanno passato tutto il viaggio stando fuori, sul tetto.

Inizio a preoccuparmi … dove mi portano? Non dovevo essere già scesa? Perché a bordo non c’è più nessuno? Il minivan entra in un cortile buio, la mia preoccupazione cresce…. Dove sono? Perché mi portano in un cortile interno?

É pieno di bus. Mi spiegano che é il deposito, ma la cosa non mi tranquillizza per nulla.

Chiamo chi sarebbe dovuto essere giá lí a prendermi: conferma che si era accordato di portarmi al deposito (senza però premurarsi di dirmelo prima), ma mi dice di non essere ancora partito da casa . “Non trovo un taxi”,  si giustifica. Non è credibile. Da più di un’ora sarebbe dovuto essere in viaggio per raggiungermi… e invece é ancora a casa… e ora che faccio? Non posso chiedere all’autista di aspettare un’altra ora, dopo aver guidato per 16 ore é evidentemente distrutto.

AGLI UFFICI DELLA AIR FRANCE

Oramai sono le 6 di mattina… l’autista mi aiuta a trovare un taxi nel deposito, e mi faccio portare direttamente agli uffici di Air France. Apre alle 8.30, ma la zona è sicura e quindi posso attendere lí, in strada, l’apertura degli uffici. Devo scoprire se c’é posto per me, fino a dove possono portarmi e pagare per il volo. Altra gente sta aspettando. Sono francesi. Mi guardano un po’ male, rispondono a monosillabe alle mie domande e mi stanno lontani.

Quando mi specchio in uno specchietto laterale di una macchina lí parcheggiata inizio ad intuirne il motivo, non sono certo nella mia forma più smagliante: ho il naso ricoperto di uno strato nero appiccicaticcio (per la mascherina) e noto solo ora che i miei piedi sono pieni di terra, i vestiti anche e ho decisamente un odore non invitante…

Dopo un paio d’ore d’attesa gli uffici aprono: “Bene signorina, dove vuole andare?”,  mi chiede la donna che si occuperà del mio biglietto. La cosa mi riempie di speranza anche se in realtà non so cosa rispondere…

Con la rapidità con la quale tutto è accaduto, non ho fatto in tempo ad organizzarmi su dove andare. A Milano no, non voglio tornare. Non con la situazione attuale. Per di più in casa da me c’è una persona, un ospite e quindi non potrei fare la quarantena adeguatamente.

FRONTIERE CHIUSE

Provo a chiamare qualche amico e conoscente per riuscire a trovare una sistemazione  in qualche ecovillaggio o posto nella natura, ma senza preavviso con la situazione coronavirus, in mezz’ora di tempo non riesco nel mio intento…

Mi potrebbero ospitare in Portogallo, ma non so se mi faranno uscire dall’aeroporto.“Vorrei andare in Italia”. La signorina smanetta sul computer: “Impossibile. Non ci sono voli per l’Italia.” Panico. Non so cosa fare… devo riflettere un attimo, ma non c’è tempo.

“Allora vuole prendere questo aereo per Parigi o vuole restare qui in Guinea?”, incalza la signorina, che evidentemente visto l’alto livello di empatia sarebbe meglio non lavorasse a contatto col pubblico..

“Qual é il posto più vicino all’Italia dove posso arrivare?” Risposta: “Ginevra”. Altra domanda: “Ma a Ginevra poi mi fanno uscire dall’aeroporto?”

“Non lo so“.

“Ma scusi, lei che lavora in una compagnia aerea non ha modo di informarsi?”

“No”.  Silenzio….

Poi, quasi scocciata, alza il telefono, chiede qualcosa e mi riferisce: “In Svizzera può uscire dall’aeroporto solo se dimostra che sta andando in Italia, ma tutti i treni per l’Italia sono bloccati, quindi non può dimostrarlo”.

Aeroporto di Conakry

“Allora vuole prendere questo aereo per Parigi o vuole restare qui in Guinea?”

“Lei sa se in Portogallo mi farebbero uscire dall’aereoporto? “

“No.”

“Ok, scusi, ho bisogno di un poco di tempo per capire… esco un attimo e torno dopo.”

IL VOLO PER PARIGI

E mi butto in ricerche disperate in internet per contattare i vari aeroporti, consultare siti dei diversi Stati, provare a chiamare i consolati … Nessuno risponde e non riesco a trovare alcuna informazione .

Temo di perdere il mio posto sull’aereo se attendo ancora.

Rientro e ho deciso di comprare  il volo per Parigi.

“Bene, passi a pagare alla cassa, 677 euro, e poi torni qui. Come paga?”

“In Franchi Guineani” che corrisponde a qualcosa come 6.550.000 franchi guineani. Considerando che la valuta più alta è di 20.000 GNF (più o meno 2 euro), mi reco a pagare con un sacchetto così pieno di soldi che sembra abbia appena svaligiato una banca. Ci vogliono 20 minuti per contarli.

Eh sì perché nel frattempo la mia banca mi ha anche bloccato la carta di credito da 4 giorni, quindi meno male che avevo fatto scorte, visto che i bancomat qui 4 volte su 5 non hanno soldi o non c’è elettricità e quindi non funzionano. E visto che già a 500 chilometri dalla capitale non si trovano più bancomat.

Chiara Cavallazzi
www.videoj.org
(1/2 continua)

Cornelia Toelgyes

Giornalista, vicedirettore di Africa Express, ha vissuti in diversi Paesi africani tra cui Nigeria, Angola, Etiopia, Kenya. Cresciuta in Svizzera, parla correntemente oltre all'italiano, inglese, francese e tedesco.

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