Massimo A. Alberizzi e Monica A. Mistretta
3 aprile 2020
La maggioranza degli aeroporti europei è chiusa, si apre solo per accogliere voli di emergenza. Eppure, gli aerei da Teheran continuano a fare scalo a Londra, Francoforte e Barcellona. L’Iran è stato il secondo focolaio di Coronavirus al mondo dopo la Cina, ma le autorità europee non hanno ancora bloccano i voli con il paese mediorientale. In Europa ci si interroga su quando verrà raggiunto il picco: con oltre 33.500 morti, i contagi Covid-19 crescono ancora senza sosta.
In Iran i morti sono oltre 3.000 secondo le stime ufficiali, ma la dissidenza all’estero parla di numeri a cinque cifre.
Dalla Spagna il nostro collega Santiago Tarin Alonso, della redazione del quotidiano La Vanguardia, ha cercato di far luce sull’aeroporto El Prat di Barcellona, dove il 26 marzo è atterrato un aereo della compagnia iraniana Mahan Air, legata ai Pasdaran. In queste ultime ore il governo spagnolo avrebbe deciso di interromperne i voli. Ma intanto, a Londra ieri è atterrato un volo Iran Air proveniente da Teheran: l’altro ieri aveva fatto la spola tra la capitale iraniana e Francoforte. Nel silenzio generale si permettono collegamenti diretti tra quel focolaio mediorientale e l’Europa: nessuno fornisce spiegazioni, pochi le chiedono.
Il 31 marzo alcuni Paesi europei hanno attivato per la prima volta l’Instex, il meccanismo commerciale creato oltre un anno fa per aggirare le sanzioni statunitensi nelle transazioni con Teheran: Regno Unito, Germania e Francia hanno venduto all’Iran materiale medico senza utilizzare i circuiti bancari internazionali. Washington, di solito critica verso le posizioni europee sull’Iran, non ha reagito. Anzi, l’amministrazione Trump ieri ha esteso le autorizzazioni di Europa, Cina e Russia nelle attività nucleari iraniane a scopi civili e medici, come stabilito dall’accordo del 2015.
Per oltre un anno l’Instex è stato oggetto di un pesante braccio di ferro tra Europa e amministrazione Trump, ostile al meccanismo creato appositamente per fornire una scappatoia commerciale tra Teheran e le capitali europee. Il tutto mentre in Iraq, dove Washington ha appena fatto arrivare nuove batterie di missili Patriot, la tensione con l’Iran è alle stelle.
La storia dell’Instex era partita male: due giorni dopo la creazione del meccanismo finanziario agli inizi del febbraio 2019, Teheran, nel corso della parata per l’anniversario della Rivoluzione Islamica, tra le bandiere e le foto dei martiri aveva fatto sfilare anche un nuovo missile cruise. L’Europa, in imbarazzo, aveva dovuto reagire minacciando sanzioni: quei missili, infatti, possono portare testate nucleari. Ma il 5 febbraio Teheran aveva rincarato la dose testando un missile balistico con il lancio di un satellite, poi fallito.
La storia si ripete il 9 febbraio di quest’anno con il lancio del satellite Zafar. Le autorità internazionali vietano a Teheran questo tipo di sperimentazioni, le stesse che, se affinate, permettono il lancio delle testate nucleari. Le autorità iraniane invece sostengono che gli scopi di questi esperimenti sono per finalità civili.
Ma è proprio la storia dei satelliti iraniani che inquieta e ci porta ancora una volta in Europa. Indagando a fondo si scoprono preoccupanti rapporti sottotraccia tra le capitali europee e Teheran, relazioni al limite del lecito nelle quali non sempre gli Stati Uniti giocano il ruolo di spettatori.
Ed è proprio in Italia, nelle officine milanesi della Carlo Gavazzi Space, che ha visto la luce il primo satellite iraniano, il Mesbah, in persiano “lanterna”. La madre di tutti i lanci spaziali di Teheran. Ai lavori per il microsatellite orbitale, iniziati nel 1998, avevano preso parte nei laboratori lombardi anche alcuni scienziati iraniani della ITRC, il Centro Ricerca Telecomunicazioni dell’Iran, e dell’IROST, l’Organizzazione di Ricerca Iraniana per la Scienza e la Tecnologia. Tutto sembrava filare liscio, lontano da occhi indiscreti, come da prassi.
Costato 10 milioni di dollari, Mesbah non è mai andato in orbita. Nel gennaio del 2003 il ministro della Difesa iraniano Ali Shamkhani annuncia trionfante che nel giro di 18 mesi Teheran lancerà il suo primo satellite. “Le capacità aerospaziali della Repubblica Islamica sono uno dei principali deterrenti del Paese” dichiara trionfante. Ma i problemi arrivano l’anno dopo. Nel 2004, infatti, il presidente della Carlo Gavazzi Space, Manfred Fuchs – un altoatesino che si è laureato in ingegneria spaziale in Germania dove, a Brema, ha fondato la OHB Technology – firma un accordo di joint venture con la Elbit System di Haifa, uno dei fiori all’occhiello della difesa israeliana. Per il Mesbah è la pietra tombale.
Il satellite resterà fermo a terra per oltre un decennio. Nel 2017 la Carlo Gavazzi Space verrà acquisita dalla OHB Technology. In una data imprecisata, e comunque dopo il luglio del 2017, il satellite Mesbah, ormai obsoleto, raggiungerà finalmente Teheran, utile, sostengono le fonti ufficiali, per il museo della scienza locale.
Intanto, Mesbah, la “lanterna”, è stato il faro per tutti gli sviluppi satellitari di Teheran. Il ruolo dell’Europa, accanto a quello di Russia e Cina, ancora oggi non è chiaro. Sono tanti i punti oscuri e le contraddizioni nei rapporti tra l’Unione europea (Italia e Germania in testa) e l’Iran. E sorge un dubbio: che fine avranno fatto quei 10 milioni di dollari utilizzati per comprare un satellite mai lanciato? Restituiti all’Iran, intascati da qualcuno o riciclati per acquistare qualcosa di inconfessabile “saltando” le sanzioni? Adesso, forse per la prima volta, l’emergenza Covid-19 getta un filo di luce su incongruenze che altrimenti sarebbero passate inosservate: basta gettare uno sguardo ai tabelloni degli aeroporti europei.
Massimo A. Alberizzi
Monica A. Mistretta
massimo.alberizzi@gmail.com
monica.mistretta@gmail.com
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