Coronavirus: tre ventilatori in tutto il Centrafrica per affrontare la pandemia

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Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
2 aprile 2020

Un sistema sanitario completamente abbandonato a se stesso non può lontanamente sperare di coprire anche solo minimamente i bisogni della gente e oggi, in piena pandemia COVID-19, la Repubblica Centrafricana ha a disposizione solamente 3, sì, tre diciamolo anche in lettere, ventilatori, per una popolazione di quasi 4,7 milioni di abitanti.

Nella Repubblica centrafricana è vietato ammalarsi e bisogna nascere sani per poter sopravvivere, anzi, oggi come oggi anche questo è considerato un lusso. Qui l’assistenza sanitaria, è una delle peggiori al mondo anche per mancanza di medici e personale paramedico, 7,1 ogni 10.000 abitanti.

David Manan, direttore per il Centrafrica della ONG norvegese, Norwegian Refugee Council (NRC) ha sottolineato con veemenza: “Avere a disposizione solo tre ventilatori significa portare il Paese alla catastrofe”. E ha poi aggiunto: “Negli altri Stati più poveri del pianeta la situazione è simile. Quando una nazione ricca è nel panico, ha o trova i mezzi per dare risposte per far fronte alle emergenze. Se il Centrafrica non riceve gli aiuti necessari, il virus potrebbe propagarsi in maniera folgorante in tutta la nazione”.

Sinora sono stati confermati 6 casi di coronavirus, non si esclude che altre persone siano affette dalla patologia, è difficile fare le diagnosi, perchè qui non mancano solo i ventilatori, anche il kit per effettuare i test sono praticamente inesistenti.

Come la maggior parte dei Paesi africani, anche a Bangui, la capitale, è stato chiuso l’aeroporto internazionale per i voli passeggeri, le lezioni in tutte le scuole di ogni ordine e grado sono state sospese, è stato limitato il numero dei partecipanti a funerali e matrimoni, vietati assembramenti e spostarsi dalla capitale verso la provincia.

MINUSCA in Centrafrica

I caschi blu della Missione Multidimensionale Integrata per la Stabilizzazione nella Repubblica Centrafricana (MINUSCA) presenti sul territorio nazionale con 15.000 uomini tra militari, civili e forze di polizia, insieme al governo e l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono scesi in campo per informare la cittadinanza sulle nuove norme comportamentali da adottare per evitare l’espandersi della pandemia.

Sono state organizzate videoconferenze con altre prefetture, lontane dalla capitale, alle quali hanno partecipato sindaci, capi villaggio, leader religiosi, funzionari governativi e locali per farli partecipe delle nuove norme adottate. E, alla fine di uno di questi corsi di aggiornamento un sindaco ha esclamato: “Mai sentito parlare di questa malattia, ma dirò alla mia gente che d’ora in poi dovranno salutarsi mantenendo la distanza di un metro”.

A parte il problema pandemia, nella ex colonia francese 2,2 milioni di persone sono in grave stato di necessità, 700.000 sono sfollati, scappati dalle loro case a causa delle violenze subite da  vari gruppi armati (anti-balaka, vi aderiscono per lo più cristiani e animisti e ex-Séléka, prevalentemente composti miliziani musulmani). La maggior parte degli sfollati vive in campi densamente popolati, dove accesso all’acqua potabile è un lusso raro, per non parlare della precaria e assolutamente insufficiente assistenza sanitaria. Se il coronavirus dovesse arrivare in uno di questi campi, sarebbe una catastrofe indescrivibile.

Gli aiuti umanitari per tutto il Paese giungono per lo più dall’estero e con le restrizioni imposte a causa della pandemia – chiusura dei maggiori aeroporti in tutto il mondo e la conseguente limitazione della libera circolazione – sarà difficile, quasi impossibile, dare risposte concrete alle necessità per la sopravvivenza di tante persone. E la ONG norvegese ha puntualizzato che è assolutamente fondamentale tenere aperte le infrastrutture essenziali, permettere la circolazione di beni e persone per portare aiuti per la sopravvivenza della popolazione in stato di necessità.

In Centrafrica si consuma un sanguinoso conflitto interno dalla fine del 2012. Malgrado la firma di svariati trattati di pace, rigurgiti di violenze, scontri tra i gruppi armati criminali sono ancora in atto e a farne le spese è la popolazione civile.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

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