Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
27 marzo 2020
COVID-19 ha fatto il suo ingresso anche in Libia. Il 24 marzo il governo di Unità Nazionale, riconosciuto dall’ONU e guidato dal presidente Fayez al-Serraj, ha confermato il primo caso di coronavirus. Si tratta di un uomo di 73 anni, ritornato da poco dall’Arabia Saudita.
Il Paese, dilaniato dalla guerra civile, ha chiuso le proprie frontiere (terrestri, aeree e marittime) una decina di giorni fa, interrotto le lezioni nelle scuole di ogni ordine e grado per arginare la pandemia. Il sistema sanitario nella capitale Tripoli e altrove è estremamente fragile, dopo i continui bombardamento da parte delle truppe del generale Khalīfa Belqāsim Ḥaftar capo del sedicente Esercito Nazionale Libico (Enl). Infatti non tutta la Libia riconosce il governo di Serraj, in particolare la Cirenaica, dove l’ufficiale è capo indiscusso.
Una decina di giorni fa i due contendenti avevano promesso di siglare l’ennesimo cessate il fuoco imposto dall’ONU a metà febbraio, dopo la conferenza di Berlino sulla Libia, e già allora Guterres, segretario generale delle Nazione Unite, aveva anche invocato i partecipanti all’incontro, in particolare la Turchia, di non inviare armi nel Paese. Serraj e Haftar non hanno dato seguito agli impegni presi, le armi hanno continuato a tuonare e combattimenti sono tutt’ora in atto.
Infatti l’embargo sulle armi imposto dall’ONU fa acqua da tutte le parti – uno dei motivi (ufficiosi) per i quali lo scorso 3 marzo Ghassan Salamé si è dimesso dal suo incarico come inviato del Palazzo di Vetro e capo della missione Unsmil (di sostegno delle Nazioni Unite in Libia) – e finalmente ieri gli ambasciatori dei Paesi dell’UE hanno trovato un accordo sulla missione navale IRINI per il controllo del blocco degli armamenti destinati alla Libia.
La nuova missione dovrebbe sostituire l’attuale operazione antiscafisti Sophia, il cui mandato scade a fine marzo. il suo scopo non è quello di soccorrere migranti in mare, ma secondo le leggi internazionali in vigore le sue saranno tenute a soccorrere e salvare eventuali naufraghi. Questi non sbarcheranno più in Italia; la Grecia ha offerto i suoi porti a tale scopo, in un secondo momento i migranti saranno accolti dagli Stati membri dell’UE su base volontaria. Gli ambasciatori hanno dichiarato che i relativi costi di sbarco nei porti greci saranno considerati come spese comuni. “La Grecia non sarà lasciata sola”.
L’UE ha fretta di lanciare la nuova missione per arginare quanto prima il flusso di armi verso la Libia, questo lucroso mortale traffico va fermato assolutamente. Attualmente una nave, la Bana, battente bandiera libanese, è ferma al porto di Genova dai primi di febbraio, il capitano Jouseff Tartiussi, un libanese di 55 anni è stato arrestato con l’accusa di traffico internazionale di armi.
Le prove raccolte indicano che il natante abbia scaricato materiale militare e armi turche a Tripoli. A bordo del cargo c’erano anche una decina di turchi, alcuni militari, altri dei servizi, secondo quanto affermato da un ufficiale libanese, che in cambio di protezione e asilo politico ha rivelato agli inquirenti italiani dettagli sul prezioso cargo della Bana.
Un filmato girato proprio nella stiva ha avvalorato la versione data dal marinaio. Inoltre la BBC ha messo in rete un altro video che mostra la rotta della nave, compreso il materiale trasportato. Il 24 gennaio la Bana era scomparsa dai radar – aveva spento il sistema automatico di identificazione (AIS) subito dopo Creta per restare invisibile – per poi riapparire e spegnersi poi nuovamente. Lo scandalo “Bana” scoppia il 29 gennaio, quando Macron punta il dito su Erdogan, accusandolo di non aver rispettato gli accordi di Berlino, continuando a fornire armi al governo di Serraj. La portaerei francese Charles de Gaulle aveva infatti localizzato la nave in questione a largo di Tripoli, scortata da due fregate turche. Macron teme inoltre, che parte del materiale bellico arrivato in Libia possa poi essere contrabbandato nel Sahel, dove gli attacchi dei gruppi armati terroristi sono all’ordine del giorno.
Intanto in Libia la guerra incalza malgrado il coronavirus. La popolazione è allo stremo, per non parlare dei migranti, che tutt’ora sono presenti in migliaia nel Paese, per lo più senza alcuna assistenza. Molti di loro sono ancora rinchiusi nei lager, dove cibo, acqua e quant’altro scarseggiano più di prima. Altri sono lettaralmente buttati in strada, privi di protezione e assistenza, tra loro anche tanti minori.
Cornelia I. Toelgyes
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