Costantino Muscau
23 marzo 2020
Il primo è stato il Congo DR. Poi si sono accodati Marocco, Algeria, Egitto, Nigeria, Sud Africa, Zambia, Ghana…
E così a partire dal 14 marzo anche il calcio africano è finito nel pallone a causa del Covid-19: fino al momento in cui scriviamo sono 26 i Paesi del Continente Nero ad aver cancellato, sospeso, rinviato campionati, o incontri calcistici per evitare il diffondersi del contagio del Coronavirus, o nel tentativo di rallentarlo.
Certo, rispetto alle 52 nazionali che fanno parte della Confederation Africaine de Football (CAF), non siamo ancora di fronte al blocco totale, così come è successo in tutto il mondo. Per limitarci all’Europa: in Inghilterra, la Premier Ligue; da noi la seria A; in Spagna, la Liga; in Germania, la Bundesliga. Lo stop completo però probabilmente è rinviato, sia per le gare locali sia per quelle continentali a dispetto di chi sembra che non voglia fermarsi. Ad esempio: è stata confermata la finale della Confederation Cup, che equivale alla Europa League. E’ previsto che si giochi al Prince Moulay Abdellah Stadium di Rabat, in Marocco il prossimo 24 maggio. Sarà la prima volta che questa finale si svolga in gara unica, dato che fino al 2019 si disputava con la formula di andata e ritorno negli stadi delle due finaliste. La finale di Champions League si giocherà invece il 28 maggio a Douala, in Camerun. E’ una contraddizione del calcio africano, che sembra volersi fermare, ma solo in parte.
La Caf (Confederation of African Football) ha, infatti, annullato due turni della Coppa delle Nazioni Africane 2021 previsti il 25 e il 31 marzo. E ha rinviato a data da destinarsi, dopo la verifica di una commissione medica, il Campionato delle Nazioni Africane 2020, che si sarebbe dovuto tenere, inizialmente, in Etiopia (tra gennaio e febbraio) e poi in Camerun (dal 4 al 5 aprile prossimo). Questa competizione si differenzia dalla precedente per il fatto che ogni nazionale può schierare esclusivamente calciatori che militano nel proprio campionato nazionale e, quindi, non all’estero. Il campione in carica è il Marocco, che nel 2018 sconfisse la Nigeria.
I campionati locali confermano questa contraddizione. C’è chi ha smesso di far girare la palla e chi no.
La Repubblica Democratica del Congo ha aperto la serie della sosta forzata africana decidendo di fermare il gioco per 30 giorni. In un primo momento (era il 10 marzo), l’Africa, secondo quanto dichiarava la CAF non veniva considerata ad alto rischio con 158 casi di contagio. E quindi non intendeva stoppare nessuna competizione internazionale. Appena 4 giorni dopo però è esploso l’allarme con la conferma che il virus aveva cominciato a colpire anche in Congo. E non solo – come ha appena raccontato su questo sito Cornelia Toelgyes – .
E la scelta della Federazione locale (FECOFA) è stata ineluttabile: ha interrotto sia la Lega professionisti per un mese a partire da lunedì 16 marzo sia tutte le attività legate al pallone.
Non hanno tardato a seguire le orme congolesi il Marocco e l’Egitto, il Senegal. E’ stata poi la volta del Sud Africa, l’Algeria, la Nigeria , il Gabon, il Ghana…E via enumerando: il Togo, (17 marzo), Benin (18 marzo), la Repubblica Centroafricana (19 marzo). L’ultimo a entrare in questa classifica dei “campionati congelati” è stato lo Zambia, che ha interrotto tutte le gare fino a nuovo ordine, dopo aver avuto la conferma ufficiale dei primi contagiati. Secondo il sito SQUAWKA.COM sono 26 le leghe calcistiche del continente del Kilimangiaro che hanno deliberato halt, fermi tutti!
La lista è provvisoria in quanto altri Paesi hanno optato per soluzioni diverse. Il Burundi, ad esempio, ha scelto di far proseguire le competizioni limitandosi a “migliorare il sistema di igiene negli stadi e altri luoghi di raduni calcistici di massa”. Così pure il Malawi, dove “il campionato si svolge come previsto in seguito all’autorizzazione del governo”, riferisce il sito Rfi.fr. Nelle isole Comore e in Rwanda, invece, i match si disputeranno a porte chiuse; in Mozambico potranno assistere agli incontri non più di 300 spettatori. Anche in Angola, Benin, Mauritania, Mauritus il gioco va avanti. Burkina Faso e Ciad hanno giustificato la volontà di proseguire con l’attività pedatoria col fatto che i tornei nazionali stanno giungendo al termine. E in questo week end si è giocato. Eppure in Burkina – stando a quanto ha scritto stamani domenica 22 marzo il quotidiano The Indipendent, il virus ha ucciso il secondo vicepresidente del parlamento e infettato 7 ministri e l’ambasciatore italiano Andrea Romussi, 47 anni. Il governo ha chiuso i confini, imposto il coprifuoco e limitato gli assembramenti con oltre 50 persone.
In tutto una quindicina di campionati nazionali sono in corso in Africa. Non tutti evidentemente hanno la stessa sensazione del pericolo che si corre. Insomma si procede – fino al momento in cui scriviamo – in ordine sparso.
Per fortuna molti illustri nomi del pallone hanno messo la loro fama al servizio della campagna di sensibilizzazione lanciata dalla Organizzazione Mondiale della Sanità.
E’ il caso di Kalidou Koulibaly, 28 anni, difensore del Napoli, che con i connazionali Idrissa Gana Gueyee, 31 anni, del Paris Saint-German, e Cheikhou Kouyatè, 31, difensore del Crystal Palace, si è presentato sui social per indirizzare un messaggio ai tifosi senegalesi e agli italiani: “Ognuno di noi deve capire di giocare un ruolo importante nella partita contro questa epidemia. Laviamoci spesso le mani, tossiamo nei gomiti, salutiamoci a distanza, state a casa”. Appelli simili sono stati lanciati, da illustri ex: Antony Baffoe, 54 anni, già calciatore internazionale del Ghana; Wael Gomaa, 44 anni, un tempo vessillo del football egiziano; Khalilou Fadiga, 45 anni, già centrocampista senegalese; Kaba Diawara, 44 anni, guineiano, con alle spalle una brillante carriera in Francia e nel Regno Unito.
Sadio Manè, 27 anni, attaccante-leggenda del Liverpool e della nazionale senegalese, alle parole ha voluto aggiungere 45 mila euro di supporto a chi contrasta il contagio. La Federazione calcistica tunisina, a sua volta, si è impegnata ad aiutare 700 famiglie bisognose fornendole di cibo e di disinfettanti.
“Il calcio è bello e importante e manca a me come a tutti i giocatori e ai tifosi”, ha dichiarato il campione nigeriano Odion Ighalo, 30 anni, attaccante del Manchester United, intervistato dal Sun. “Ma ora si gioca una partita decisiva nel mondo: quella per la vita. E in questa sfida anche noi abbiamo un ruolo”.
Costantino Muscau
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