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Massimo A. Alberizzi
Malindi, 14 marzo 2020
Il processo contro tre degli imputati per il rapimento di Silvia Romano, le cui due ultime udienze erano previste l’11 e il 12 marzo, sono “saltate”. La giudice, Julie Oseko non ci sarà per un mese. Vacanza, impegni di lavoro, questioni di salute? Non è dato sapere. Nessuno al palazzo di giustizia di Malindi sa dare una spiegazione.
Questi ritardi preoccupano e se sommati a altri passaggi inquietanti lasciano perplessi e confusi. Ai primi di febbraio è stata trasferita a altra sede, Nairobi, la rappresentante della pubblica accusa, Alice Mathagani, che si stava occupando puntigliosamente del caso. Qualche giorno fa anche l’investigatore della polizia che stava indagando sul rapimento di Silvia è stato allontanato: trasferito a Mombasa.
Tre colpi di scena sconcertanti, che gettano una pesante ombra sulla corretta gestione della inchiesta.
Alla sbarra avrebbero dovuto presentarsi Ibrahim Adhan Omar, Moses Luari Chende e Abdulla Gababa Wario. Il primo è latitante, il secondo è fuori di galera perché ha versato una cauzione, solo il terzo è dietro le sbarre. Non si sa bene che fine abbia fatto Ibrahim Adhan Omar. Di nazionalità somala un paio d’anni fa era riuscito a procurarsi un documento identità keniota corrompendo alcuni membri della commissione che deve valutare le richieste di cambio di nazionalità. Viene considerato l’organizzatore del ratto e colui che sa tutto e ha un quadro preciso di quanto è accaduto. Quando è stato arrestato in un villaggio vicino Garissa era in possesso di armi da fuoco.
Si fanno due ipotesi o che sia rifugiato in Somalia o – lo pensano alla polizia – che sia stato ucciso per impedirgli di parlare, svuotare i sacco e svelare i i veri motivi del rapimento. Già, perché l’investigatore che ora è stato spedito a Mombasa è convinto di una cosa: la banda che ha rapito la ragazza non voleva portarsi via una muzungu (bianca in swahili, ndr) ma cercava proprio Silvia Romano che quindi non era un obbiettivo dell’ultimo minuto ma un ratto meticolosamente organizzato nei minimi particolari.
Tra l’altro sia la procuratrice Alice che l’ex capo dell’inchiesta (di cui non svelo qui il nome per motivi di sicurezza) si erano opposti a concedere la liberà su cauzione ai tre accusati, proprio per evitare che scappassero portandosi via i loro segreti. Ma la decisione della giudice – che in un primo tempo aveva negato la libertà su cauzione poi concessa – ha permesso ad Adhan di allontanarsi. Eppure, la legge keniota non prevede la cauzione per gli accusati di terrorismo come era il latitante sparito.
Entrambi – procuratrice e investigatore – mi avevano poi scongiurato di convincere la famiglia a partecipare al processo: “La loro presenza – mi avevano confidato – può esercitare una forte pressione sui tre per persuaderli a raccontare tutto il necessario a individuare il luogo di prigionia di Silvia. Se vedranno i familiari ad assistere al processo si potrebbero impietosire e parlare, anche per godere delle attenuanti”.
Non c’era stato nulla di fare. Le pressioni esercitate dalla Farnesina erano state talmente forti sulla psicologia della madre, del padre e della sorella da indurli a non partecipare. Africa ExPress aveva messo a disposizione le sue competenze perché avevamo anche noi la sensazione che la presenza della famiglia avrebbe potuto essere importante per sbloccare la situazione.
Le pressioni della Farnesina erano arrivate al punto di ordinare perfino ai diplomatici italiani di non partecipare alle udienze. Caso unico perché normalmente in questi casi la partecipazione di qualcuno della legazione diplomatica italiana è assicurata. Solo all’ultima udienza – nella scuola di Chakama, il villaggio dove è stata rapita Silvia – in gennaio aveva partecipato una funzionaria venuta da Nairobi.
La sensazione è che il silenzio totale e completo chiesto dalle autorità, comprensibile nei giorni immediatamente successivi al sequestro ma incomprensibile e, francamente, misterioso nelle fasi successive, sia stato motivato soprattutto con l’esigenza di coprire gli errori e le omissioni nell’inchiesta. A questo si deve registrare una malcelata stizza verso i giornalisti che hanno indagato sul rapimento. E, soprattutto, l’ordine impartito alla Rai di non occuparsi di Silvia.
Occorre a malincuore constatare che gli errori, le omissioni e i depistaggi in questa amara vicenda sono stati notevoli e forse anche dolosamente voluti per evitare di toccare interessi molto più grandi della vita di una semplice, disinteressata e pura ragazza milanese motivata dall’amore verso gli ultimi del nostro pianeta.
Ormai sembra non ci si possa aspettare nulla dal processo. Appare tutto insabbiato. Nessuno ha voluto indagare seriamente ed è difficile a questo punto ribaltare la situazione.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
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