Dal massacro dei soldati turchi in Siria al traffico delle armi triangolate in Somalia

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Speciale per Africa Express
Monica Mistretta
28 gennaio 2020

Sono morti nel silenzio sotto le bombe di uno dei tanti raid aerei russi che da tre mesi tormentano la provincia siriana di Idlib, al confine con la Turchia: due bambini e due adulti, non sappiamo nemmeno i loro nomi. Un milione i rifugiati in fuga verso la Turchia che oggi ha aperto i varchi di confine e adesso minaccia di farli entrare in Europa.

La comunità internazionale segue con apprensione le cifre dei deceduti tra le file di miliziani ed eserciti: secondo il gruppo di opposizione Osservatorio Siriano per i Diritti Umani sarebbero 16 i soldati siriani uccisi oggi in risposta alla morte di 33 soldati turchi. L’epicentro degli scontri è la città siriana di Saraqib, snodo tra le statali M4 e M5 che collegano l’importante porto di Latakia con il cuore economico del paese, Aleppo: anche a Saraqib oggi sono morti tre civili senza nome.

In queste ore missili turchi rispondono a quelli russi e colpiscono il cuore della Siria, nella provincia di Hama, in prossimità di una base russa. È Mosca l’artefice della rimonta di Assad in questa guerra che adesso sta per entrare nel suo nono anno. Ma lo scontro non è un affare a tre tra il presidente siriano, l’aviazione russa e l’esercito turco. All’ombra di Idlib, contro l’esercito di Ankara, combattono le milizie di un quarto paese che in Medio Oriente si muove come a casa propria: l’Iran.

Raid aerei a Idlib

Fino a gennaio le milizie di Teheran si erano tenute lontane da Idlib, con ogni probabilità per evitare lo scontro diretto con Ankara. È da Ankara che in passato sono transitati clandestinamente oro e risorse destinate all’Iran nel periodo più difficile delle sanzioni internazionali. Per tutti i traffici che ancora non conosciamo parla lo scandalo che ha coinvolto una delle più importanti banche turche, la Halkbank, accusata da un tribunale statunitense di aver scambiato oro con petrolio. E ci porta ancora un Turchia una delle società colpite tre giorni fa dalle sanzioni statunitensi per aver contribuito al programma missilistico iraniano, la Eren Carbon Graphite Industrial Trading Co. Ltd. Ma ad Idlib la posta in gioco è più grossa di qualsiasi schema costruito per aggirare le sanzioni: Teheran ha i suoi progetti nella provincia siriana.

Agli inizi di gennaio, proprio quando veniva ucciso in un raid il generale iraniano Qassem Soleimani, le cose sono cambiate: milizie libanesi e afghane fedeli a Teheran si sono spostate dal sud della Siria verso la provincia di Idlib. Dai 400 agli 800 uomini stando all’intercettazione di alcune comunicazioni fra miliziani rivelate dal quotidiano britannico The Daily Telegraph alla fine di gennaio.

Negli stessi giorni usciva un altro report: questa volta parlava di Somalia. Nel paese alla fine di dicembre hanno perso la vita in un attacco terroristico due ingegneri turchi, altri sei sono rimasti feriti nei pressi di Mogadiscio alla metà di gennaio. I due attacchi sono stati rivendicati dagli Shabaab, gruppo somalo legato ad Al Qaeda. Il sito francese African Intelligence non perde tempo e punta immediatamente il dito sull’avvicinamento degli Shabaab a Teheran.

Un altro attacco, l’ennesimo, avvenuto il 5 gennaio a Lamu contro la base keniota americana Camp Simba, sarebbe stato un gesto di vicinanza degli Shabaab a Teheran all’indomani della morte del generale Soleimani. Ma cosa hanno in comune la Somalia con la provincia di Idlib?

Non meraviglia che i sunniti Shabaab possano cercare appoggi nell’Iran sciita: la Somalia è da sempre terra di triangolazioni di armi, merci e metalli preziosi con lo Yemen, dove Teheran sostiene i ribelli Houthi. E forse non occorre ricordare che la madre di Osama Bin Laden, il fondatore di Al Qaeda, cui sono legati gli Shabaab, era alawita, la setta sciita del presidente siriano Bashar Al Assad. Le forze in campo cambiano in Siria e le alleanze slittano anche in Somalia.

Latakia era il grande sogno di Qassem Soleimani: il porto di Teheran sul Mediterraneo. Chi vuole controllare questa finestra sul mare deve avere un piede ben saldo nella città di Saraqib, nella provincia di Idlib. Lì adesso ci sono tutti: turchi, russi, siriani e adesso anche iraniani. Non importa quanti civili devono ancora morire per conquistarla: la battaglia è solo agli inizi e Teheran vuole fare parte del gruppo. Gli Shabaab, che guardano con ostilità la crescente influenza economica turca nel loro territorio, sono saliti sul carro di chi combatte contro Ankara a Idlib.

Monica Mistretta
monica.mistretta@africa-express.info

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