Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
24 febbraio 2020
Volevano passare vacanze tranquille al sole, lontani dallo stress del coronavirus che flagella l’Italia da Trieste in giù. Ma non avevano fatto i conti con le restrizioni del governo delle Mauritius. Appena atterrati questa mattina alle 10.50 ora locale con un aereo di Alitalia proveniente da Roma, in tutto 212 passeggeri e 12 membri di equipaggio a bordo, i responsabili dello Stato insulare, senza grandi giri di parole, hanno invitato i turisti provenienti dal nord della nostra penisola a tornare a casa con lo stesso aereo, oppure di passare due settimane in quarantena. Quaranta aspiranti turisti hanno optato per la prima soluzione: sono ripartiti con lo stesso volo che li aveva portati in questo paradiso terrestre.
Sembra che le autorità di Port Louis non avessero informato la nostra compagnia di bandiera di queste nuove disposizioni. I passeggeri provenienti dalla Corea del Nord e dal Giappone vengono messi automaticamente in isolamento da tempo, da oggi anche gli italiani. Certo, un’epidemia di coronavirus metterebbe in ginocchio l’economia del Paese nell’Oceano Indiano sud-occidentale, in quanto tra le maggiori entrate figurano turismo e servizi finanziari e è anche considerato una dei più sicuri paradisi fiscali sia per le società sia i patrimoni individuali.
Da tempo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha intensificato gli sforzi per preparare il continente africano all’arrivo del temuto virus. Il gruppo di OMS responsabili per le emergenze ha raccomandato a tutti gli Stati africani di intensificare i controlli alle frontiere, l’isolamento in quarantena se necessario, la ricerca per individuare in tempi brevi eventuali portatori sani della patologia, onde prevenire la propagazione della malattia (2019-nCoV).
Finora è stato registrato un solo caso nel continente, in Egitto, il cui sistema sanitario è considerato molto efficacie; il paziente, uno straniero, è stato immediatamente isolato per evitare contagi.
L’Africa è sorvegliata speciale dell’OMS, vista la forte presenza di cittadini cinesi nel continente per gli importanti legami economici con il Paese dell’Asia orientale. In particolare l’Etiopia – giacchè l’aeroporto di Addis Ababa registra il più alto traffico internazionale a livello continentale – è considerato dall’OMS tra i 13 Paesi africani più a rischio per il grande volume di traffico da e per la Cina con ben 35 voli settimanali, ma fortunatamente non a Wuhan, l’epicentro del coronavirus. La ex colonia italiana dispone in tutto di 4 aeroporti internazionali e ben 21 valichi di frontiera terrestri.
Secondo Zewdu Assefa, direttore del centro emergenze con base a Addis Ababa, ha detto che è stato già messo a disposizione un centro per l’isolamento, nonchè altri per la cura dei pazienti sparsi in tutto il territorio; inoltre è stata preparata una mappa degli ospedali in grado di accogliere pazienti affetti dalla malattia. Infine ha aggiunto: “Abbiamo preparato 60 team in grado di rispondere all’emergenza. Collaboriamo in stretto contatto con l’OMS, che ci sostiene con l’approvvigionamento di materiale sanitario, test e altro. Per coloro che entrano nel Paese usiamo la medesima tattica di controllo che abbiamo sperimentato con successo durante il periodo dell’epidemia di ebola”.
Anche nella maggior parte degli altri aeroporti africani vengono già attuati severi controlli per i passeggeri in arrivo. La Costa d’Avorio, Kenya, Etiopia e Botswana hanno registrato qualche caso sospetto, ma hanno poi fatto sapere che i test sono risultati negativi. Tutte le compagnie africane, eccetto l’Ethiopian Airlines hanno cancellato i voli per la Cina.
Attualmente 4.600 giovani africani si trovano a Wuhan per motivi di studi, solamente due studenti seychellesi sono stati evacuati grazie all’intervento della Francia, dove, una volta arrivati, sono stati messi in quarantena. Nei prossimi giorni potranno far ritorno a casa.
Gli altri Paesi del continente sono contrari a portare a casa i propri studenti. E solo qualche giorno fa, dopo aver valutato e poi scartato la possibilità di una evacuazione via Washington, il primo segretario del ministero degli Esteri keniota ritiene che i giovani sono al sicuro dove si trovano ora, cioè a Wuhan. E il governo ugandese è della stessa opinione. Insomma, pur di evitare qualsiasi contagio, i governi africani preferiscono sostenere i giovani con finanziamenti supplementari in Cina.
Finora solo uno studente camerunense ha contratto il coronavirus all’inizio del mese a Jingzhou. Dopo due settimane di cure in isolamento in un ospedale cinese, ora è guarito, ma non è intenzionato di far ritorno a casa, non per il momento.
Anche se nella maggior parte dei casi la sanità pubblica in Africa risulta fragile e insufficiente, va ricordato che alcuni Paesi hanno saputo affrontare – anche se con grande fatica e sacrifici – la terribile epidemia di ebola 2014-2016, costata la vita a oltre 11.300 persone e allora non erano ancora a disposizione i vaccini per coloro venuti in contatto con la temibile patologia. Nella Repubblica Democratica del Congo, nelle province Nord-Kivu e Ituri, è ancora attiva la 10ma epidemia della febbre emorragica, esplosa il 1°agosto 2018. Finora sono morte 2253 persone, mentre 3432 hanno contratto la malattia.
Cornelia I. Toelgyes
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