10 febbraio 2020
Nel suo rapporto del 3 dicembre 2019, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF) esprime serie preoccupazioni per lo stato nutrizionale dei bambini sotto i 5 anni in Eritrea.
Secondo l’UNICEF il 60 per cento dei piccoli eritrei è sottopeso, malnutrito. Dati recenti esatti non sono disponibili, in quanto il regime di Isais Afewerki, presidente del piccolo Paese nel Corno d’Africa, non rilascia dati aggiornati; non si deve dunque escludere che gli estremi di UNICEF siano sottostimati.
Non si sa quanti nuclei familiari e/o minori necessitano di assistenza. Infatti nel suo rapporto UNICEF precisa per entrambe le categorie: “dati non disponibili”.
Tuttavia dalle informazioni a disposizione di UNICEF si evince che i piccoli eritrei stanno peggio dei loro coetanei sud sudanesi. Il che è tutto dire, in quanto in Sud Sudan si consuma un sanguinoso conflitto interno dal 2013. Stanno anche peggio dei bambini dello Zimbabwe, dove oltre la metà della popolazione necessità di assistenza umanitaria per la grave recessione e i cambiamenti climatici che hanno messo in ginocchio l’economia del Paese. Gli altri Stati sono più attenti alle necessità della gente e malgrado le difficoltà e situazioni non facili, i governi cercano di collaborare con le organizzazioni internazionali e /o con le associazioni non governative.
Gran parte della popolazione, specie nelle campagne vive in povertà. Gli anziani fanno davvero fatica a coltivare i campi. Le attrezzature non sono tra le più recenti, anzi. I giovani, quelli rimasti nella ex colonia italiana, sono costretti a prestare il servizio militare/civile e dunque non possono in alcun modo aiutare la famiglia. Né per quanto concerne il lavoro nei campi e tanto meno economicamente: con il soldo percepito non riescono nemmeno acquistare 1 ½ chilogrammi di carne al mese.
Una decina di anni fa, grazie a un’inchiesta di OXFAM, il raccolto di una famiglia era sufficiente per appena 5-6 mesi, ovviamnte se le messe erano abbondanti. Per il resto dell’anno bisogna comprare il cibo. Con quali soldi? Non sempre i familiari e amici emigrati all’estero riescono a dare una mano ai congiunti rimasti a casa. Insomma, il popolo continua a soffrire. Il trattato di pace con l’Etiopia, l’acerimmo nemico storico, non ha portato i cambiamenti promessi dal dittatore.
Il servizio militare/civile non è stato rivisto, i giovani sono sempre costretti a arruolarsi per un tempo indeterminato. La Costituzione non è ancora stata proposta alla popolazione e non si parla nemmeno di elezioni. Anzi, le maglie del regime si sono ristrette maggiormente durante lo scorso anno con i sequestro di ospedali e presidi medici di proprietà della Chiesa cattolica. Molti di questi erano situati in aree remote e depresse, dove è quasi impossibile trovare altri medici.
Con la confisca di queste strutture, la popolazione residente ha perso importanti punti di riferimento, in quanto sacerdoti e suore erano sempre pronti a tendere la mano ai più bisognosi e poveri.
Dopo il sequestro di 29 presidi medici, il regime fascista al potere in Eritrea si è appropriato anche di alcune scuole della Chiesa, frequentate per lo più da figli di famiglie disagiate.
Gli abitanti, già in difficoltà, in questi ultimi anni devono combattere anche con i cambiamenti climatici: inondazioni, siccità ed ora in molte zone devone fare anche il conto con l’invasione delle locuste che divorano tutto ciò che trovano lungo il loro percorso.
L’oppressione continua in ogni dove. Pochi giorni fa è stato brutalmente ucciso un giovane nel centro della città di Mendefera, dove era costretto a prestare il servizio civile. Si chiamava Shewit Yacob, orfano di un combattente e la madre è disabile.
Shewit si era allontanato dal servizio senza permesso per andare dalla mamma anziana e bisognosa di aiuto Al suo ritorno è stato arrestato, perchè considerato un disertore. Il giovane è riuscito a scappare, ma lo hanno inseguito, gli hanno sparato, gli uomini di Isaias lo hanno ammazzato. Un ordine del regime: ai disertori si spara a vista.
E proprio il 4 febbraio l’ambasciatore degli Stati membri dell’UE e quello della Gran Bretagna si trovavano in quella zona insieme alle autorità eritree per ispezionare il primo tratto della strada Nefasit e Dekamhare, che una volta terminata dovrebbe far parte della più grande arteria stradale che connette Massawa con il confine etiopico. L’Unione Europea ha stanziato 20 milioni di euro dal Fondo Fiduciario per l’Africa per la realizzazione dell’infrastruttura dopo la firma del trattato di pace tra Asmara e Addis Ababa. La nuova strada dovrebbe contribuire allo sviluppo economico e commerciale, creare nuovi posti di lavoro. Il progetto è stato implementato grazie a un accordo con UNOPS (Ufficio delle Nazioni Unite per i Servizi e i Progetti).
Africa ExPress
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