Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
3 febbraio 2020
Un vero e proprio bollettino da guerra giunge quasi giornalmente dalla Repubblica Democratica del Congo. Gruppi armati che uccidono civili inermi, galere dove i prigioniericontinuano a morire di fame e malasanità, ebola che dopo 17 mesi miete ancora vittime nel Nord-Kivu e a Ituri, l’epidemia di morbillo che continua la sua folle corsa e infine piogge torrenziali e inondazioni mettono in pericolo la vita delle persone.
I guerriglieri del gruppo terrorista Allied Democratic Forces (ADF), organizzazione islamista terrorista ugandese, operativa anche nel Congo-K dal 1995, hanno fatto una vera e propria strage in meno di una settimana. Finora si ha notizia di tre attacchi, ma è probabile che ve ne siano stati anche altri, non sempre le notizie giungono in tempo reale. Questa notte l’ultimo, nella provincia di Ituri, a Ndalya, dove i terroristi hanno ucciso 3 persone di uno stesso gruppo familiare e bruciato una casa. Dalle prime informazioni arrivate dallo stringer di Africa ExPress, sembra che altre vite siano state risparmiate, grazie al pronto intervento dell’esercito.
Ma la scorsa settimana è stato un vero massacro nella zona di Beni, nel Nord-Kivu. In due diversi attacchi sono state sterminate 14 persone a colpi di machete la notte tra il 28 e il 29 gennaio. Altre sono state ferite gravemente e sono state ricoverate in condizione critiche nell’ospedaledi Oicha. E sempre nella stessa zona sono stati uccisi altre 7 residenti il 1° febbraio.
Una donna, sequestrata nell’attacco del 1° febbraio, è stata liberata ieri. Secondo quanto riferito da Kinos Katuho, rappresentante della società civile locale, i miliziani le avrebbero affidato un messaggio per l’esercito congolese (FARDC): “Basta con le offensive alle nostre postazioni. In caso contrario continueremo le aggressioni contro la popolazione civile”. Dalla fine di ottobre sono in atto massicce operazioni militari contro i ribelli ADF e altri gruppi armati attivi nella zona, responsabili di continue sanguinarie incursioni.
Anche i ribelli maï maï non hanno risparmiato la zona di Beni in questi ultimi giorni. A Mamové irregolari del gruppo armato hanno attaccato la locale stazione di polizia. Almeno 8 persone, tra loro un combattente maï-maï, sono morte. Il rappresentante della società civile di Mamové ha detto che ora il villaggio è vuoto. Tutti i residenti sono fuggiti per paura di nuove rappresaglie.
I maï maï sono guerrieri tradizionali, combattenti che si sottopongono a iniziazioni magiche e partecipano a riti esoterici; sono stati molto attivi negli anni ’90. Sono comparsi per le prime volte nelle guerriglie subito dopo l’indipendenza, nel 1960. Da tempo sono ricomparsi e sono responsabili di molti scontri avvenuti in tutto il Kivu. I maï maï dovrebbero proteggere la popolazione, ma di fatto quasi mai è così: razziano, rapinano, violentano, uccidono.
Secondo fonti governative, dal 1° agosto 2018 al 29 gennaio 2020 sono morte 2.242 persone dopo aver contratto il micidiale virus ebola, mentre in totale 3.421 sono stati infettati, 1.154, invece, sono guarite. La febbre emorragica non è ancora stata sconfitta, anche se da qualche tempo viaggia più lentamente. Certamente gli attacchi dei gruppi armati non aiutano a sconfiggere la malattia. Parte della popolazione è in continuo movimento, si nasconde nei boschi, cerca rifugio da parenti e amici in altre aree e dunque gli operatori sanitari non possono monitorare coloro che sono venuti in contatto con ebola.
Dall’inizio dell’epidemia sono state vaccinate quasi 300.000 persone. Un operatore sanitario, pur essendo stato immunizzato con il vaccino rVSV-ZEBOV, prodotto dal gruppo americano Merck, Sharp & Dohme, a fine gennaio ha contratto ugualmente la febbre emorragica a Beni, uno degli epicentri della patologia. Sono 167 i sanitari contagiati dal virus dall’inizio della sua comparsa nelle due province. Tra loro 41 sono morti.
Le autorità sanitarie hanno fatto sapere che bisogna attendere tra 8 e 10 giorni perchè la persona vaccinata produca gli anticorpi contro l’ebola; durante quel lasso di tempo il contagio è ancora possibile.
Nella più grande prigione di Kinshasa, la capitale della ex colonia belga, e in altre case circondariali del Paese anche i detenuti continuano a morire: oltre una trentina dall’inizio dell’anno per mancanza di cibo, malattia, assenza di medicinali. Pochi giorni fa tre detenuti sono stati trasferiti all’ospedale di competenza. Le loro condizioni erano gravissime. Uno di loro è morto durante il trasporto.
Questa incresciosa situazione è venuta a crearsi perchè il governo non ha saldato i debiti con i fornitori, notizia confermata dal ministro della Giustizia, Tunda Ya Kasende qualche settimana fa. Sembrava che una parte del denaro necessario fosse stato sbloccato dal dicastero delle Finanze, ma a quanto pare non è stato sufficiente per “normalizzare” lo stato delle cose.
La Repubblica Democratica del Congo sta affrontando anche la peggiore crisi di morbillo della sua storia; finora sono morti oltre 6.000 pazienti, per lo più bambini. Durante lo scorso anno sono stati vaccinati 18 milioni di piccoli fino ai 5 anni. La copertura vaccinale sistematica resta tuttora non sufficiente. Da un lato mancano i finanziamenti necessari, dall’altro alcune zone del Paese sono difficilmente accessibili per questioni di sicurezza.
E in questo immenso Paese non mancano nemmeno i problemi legati ai cambiamenti climatici. Pochi giorni fa piogge torrenziali e allagamenti hanno causato la morte di almeno 4 persone, diversi i dispersi, tra loro anche 2 bambini, nel Sud-Kivu. Gran parte delle strade sono impraticabili, trasporti interrotti, case allagate, altre distrutte completamente dalla furia delle acque. Mentre a metà gennaio sono morti 14 residenti nella zona di Bukavu, capoluogo del Sud-Kivu sempre a causa di piogge e alluvioni.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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