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Massimo A. Alberizzi
Malindi, 20 gennaio 2020
Sfilata di testimoni ieri al processo contro i presunti rapitori di Silvia Romano, la giovane italiana sequestrata il 20 novembre 2019 a Chakama, villaggio a un’ottantina di chilometri nell’entroterra di Malindi. Nessun europeo tra il pubblico: i diplomatici non ci sono visti e neppure i giornalisti. L’ordine della Farnesina in questi mesi infatti è stato chiaro: “Abbandonare Silvia”.
Le domande del giudice, Julie Oseko, e della procuratrice, Alice Mathangani, hanno riguardato due aspetti: dov’è finito l’accusato numero uno, Ibrahim Adhan Omar, che dopo aver pagato la cauzione non si è fatto più vedere, sparendo nel nulla? E poi: come ha fatto il poverissimo sarto Juma Suleiman residente a Kwale, un villaggio vicino Mombasa, a pagare, depositando in tribunale titoli di proprietà per 26 mila dollari, quella cauzione?
Nessuno ha saputo risponder alla prima domanda, ma è stato individuato un cognato di Ibrahim, certo Mohammed Omar Ali, che dovrebbe sapere dove si trova il congiunto ricercato. E’ stato dato incarico alla polizia di trovare Mohamed per interrogarlo. Se il latitante non si dovesse recuperare entro il 9 marzo, la Corte procederà senza indugio. Per l’11 e il 12 marzo sono previste altre due udienze a Chakama: la giudice vuole interrogare altri 17 testimoni che non possono permettersi di raggiungere il tribunale di Malindi. Dovrebbe così finire il processo e si dovrebbe andare a sentenza. Poiché Ibrahim è sparito dal 20 novembre scorso, qualcuno degli avvocati ha avanzato l’ipotesi che sia stato ammazzato per tappargli al bocca.
Alla seconda domanda il sarto Juma Suleiman, che dichiara di guadagnare l’equivalente di 100 dollari al mese, ha risposto sicuro che ha pagato quei 26 mila dollari per tirar fuori Ibrahim giacchè il latitante è un suo amico – lo conosce da 26 anni – e senza esitazione ha versato la cauzione.
Quella di ieri è stata l’ultima udienza cui ha partecipato la procuratrice Alice Mathangani. Dal 3 febbraio è stata trasferita a Nairobi e quindi lascerà il posto a un suo collega che non è stato ancora nominato. Mathangani nelle udienze dei mesi scorsi era apparsa piuttosto combattiva e si era opposta, assieme all’ispettore di polizia che coordina le indagini, Peter Murithi, alla richiesta della difesa di concedere la cauzione agli imputati. Li aveva giudicati troppo pericolosi e con il rischio di una fuga che poi si è puntualmente verificata. La giudice Oseko aveva invece deciso diversamente.
Ibrahim è l’unico somalo dei tre accusati: gli altri due, Moses Luari Chende e Abdulla Gababa Wario, sono kenioti, anche se di etnia somala. Al momento dell’arresto, nei pressi di Garissa, città colpita da attacchi islamisti, Ibrahim è stato trovato in possesso di armi e le indagini hanno dimostrato che ha ottenuto la carta di identità keniota corrompendo i membri della commissione governativa incaricata di pronunciarsi sulle richieste di documenti.
Subito dopo l’udienza una chiacchierata con gli inquirenti ha permesso di approfondire alcuni punti. La procuratrice Alice Mathagani ritiene che Silvia sia ancora viva altrimenti se fosse stata uccisa la notizia si sarebbe diffusa. Tenerla segreta – sostiene – sarebbe stato impossibile. Non sa o non vuole spiegare cosa sia successo qualche giorno dopo il rapimento della volontaria, quando i ranger guardia parco, avevano individuato il bivacco dove si erano accampati rapitori e rapita. Avevano però ricevuto l‘ordine di non muoversi e di aspettare i rinforzi. Ma all’arrivo degli aiuti i malviventi erano già scappati.
Alla polizia invece rivelano che c’è un altro ricercato quello che sarebbe stato l’organizzatore del ratto: Saidi Adhen. “E’ lui che sa ogni cosa, soprattutto i reali motivi del rapimento, ancora sconosciuti”.
Massimo Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
@malberizzi
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