Costantino Muscau
12 gennaio 2020
Domenica 8 dicembre scorso, era sopravvissuto a un gravissimo incidente automobilistico. Con la sua Toyota Prado da Eldoret a Iten, (Rift- Valley) era finito contro un camion. Vivo per miracolo.
Venerdì pomeriggio 10 gennaio (a las cinco de la tarde, per citare Garcia Lorca) non l’ha scampata all’improvviso fulmine scagliatogli dall’Unità di Integrità (Aiu) dell’Atletica, l’organizzazione indipendente di controllo dell’Agenzia Mondiale Antidoping.
Wilson Kipsang Kiprotich, 37 anni, è stato temporaneamente sospeso per (presunte, al momento) irregolarità sul doping. E’ un altro titano dell’atletica kenyana che precipita nel Tartaro della vergogna.
Stiamo parlando dell’ex detentore del record mondiale di maratona, della medaglia di bronzo olimpica nel 2012 a Londra, del (due volte) vincitore della maratone di Londra e dominatore in quella di Francoforte, Berlino, Tokio. Del sesto uomo più veloce di sempre nei 42km 195 metri. Di un uomo che per 4 volte ha percorso la distanza sotto le 2 ore e 4 minuti.
Un sovrumano, un gigante, dalle umili origini, come tanti campioni simili a lui. “Mai avrei pensato che sarebbe diventato un grande”, aveva commentato tempo fa il missionario irlandese Colm O’Connel della St. Patricks High School, dove il religioso in 4 decenni ha allevato 25 campioni del mondo e 4 campioni olimpionici. Invece Wilson è diventato un gigante. Ma anche i giganti cadono.
Wilson, corridore poliziotto nato a Iten, gigante caduto, o quanto meno traballante, sarà costretto a convivere, in attesa che si discolpi, con l’onta di aver “manomesso o tentato di manomettere le provette” e di essere colpevole dei cosiddetti “Whereabouts Failures”. In parole povere, “per mancanza o inesattezza di comunicazione delle informazioni sulla reperibilità”. Tutti gli atleti devono essere rintracciabile un’ora al giorno, tutti i giorni e devono fornire ai funzionari antidoping i luoghi disponibili per i test fuori gara. I test persi possono equivalere a test falliti. Kipsang avrebbe mancato tre controlli a sorpresa e avrebbe cercato di alterarne un quarto.
Ora dovrà smettere di correre per due anni – specifica il sito di AIU athleticsintegrity.org parlando delle sanzioni – o per un anno, se si accerterà che le violazioni non sono state gravi.
Per Wilson Kipsang e il mezzofondo keniano è un durissimo colpo. Kipsang è, in effetti, l’ultima star locale a essere preso di mira. L’ultimo pesce grosso a cadere nella rete dell’antidoping. Eh si che l’AIU da tempo, nel suo sito, avverte minacciosa: i controlli nel 2020 saranno sempre più stringenti.
Le vittime illustri non si contano. Nel 2017 sono state cacciate (per positività all’Epo), Rita Jeptoo, dominatrice della maratona di Boston per 3 volte e una di quella di Chicago e Jemima Sumgong, prima donna di Nairobi ad aver conquistato l’oro olimpico di Rio nel 2016. Un altro campione olimpico, Asbel Kiprop (1500m del 2008) e tre volte campione del mondo, è stato bandito nel novembre 2017 per 4 anni: pure lui a causa dell’EPO.
Secondo un report dell’agenzia mondiale antidoping (Wada), tra il 2004 e l’agosto 2018, gli atleti del Kenya risultati positivi sono stati ben 138.
Un’epidemia inarrestabile. Una cancrena.
“Roba da far cascare le braccia – ha commentato sconsolato Barnaba Kipyego Korir, membro del Comitato esecutivo dell’Athletics Kenya e Chairman della Regione di Nairobi – sentire che un altro dei nostri, e di che livello, è vittima di questa piaga. Però, allo stesso tempo vediamo la vicenda in modo positivo in quanto supportiamo gli sforzi dell’AIU nello sradicare il triste fenomeno, per il quale stiamo pagando un alto prezzo in atleti e in immagine dell’intero Paese”.
E Micah Chemos, 33 anni, specialista nei 3 mila siepi, ha aggiunto : “Sono sotto choc. Ogni giorno vengo svegliata da queste terribili notizie che coinvolgono miei colleghi. E questo nonostante i convegni e seminari che organizziamo in tutto il Kenya sul doping. Stavolta poi ci troviamo di fronte a una figura di spicco, che dovrebbe fare da modello alle giovani generazioni”.
Già nel 2016 il Paese aveva ottenuto il diritto di partecipare ai Giochi di Rio solo in extremis, dopo aver approvato una legge antidoping che prevede sanzioni penali (fino a 3 anni di galera) per gli atleti dopati e fornitori dei prodotti proibiti. Come le grida manzoniane, però, la legge non ha avuto un grande effetto, se anche ai primi dello scorso dicembre in un hotel di Heldoret si è tenuta una conferenza di 4 giorni cui hanno preso parte 300 atleti di fama. Il tema delle prima giornata era, manco a dirlo: “Ho scelto l’integrità”. Si è ribadita la volontà di procedere penalmente. Con maggior vigore.
Si ribella, però, alla criminalizzazione del maratoneta, il suo procuratore e scopritore di talenti africani, l’olandese Gerard Van De Veen, che punta il dito contro gli investigatori:”La violazione delle norme di Kipsang è solo presunta, al momento non esiste nessuna prova, non è stata trovata nessuna sostanza proibita”. Van De Ven sa che cosa vuol dire essere ostraciato: quattro anni fa venne sospeso a sua volta per 6 mesi.
E Kipsang? Parlerà quando interrogato, per chiarire la sua posizione. Viene a galla ora una sua dichiarazione del 2015: “Il 90% della nostra atletica è affidabile”.
Certo mai avrebbe immaginato di finire nel restante 10%.
Costantino Muscau
muskost@gmail.com
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