Costantino Muscau
9 gennaio 2020
Dopo 12 anni il re del calcio africano è nuovamente un senegalese. E’ Sadio Manè, 27 anni, al Liverpool dal 2016. E’ un musulmano praticante. E’ ricco, umile, generoso.
L’anno scorso al termine di una partita in cui segnò un goal decisivo andò in moschea a pulire i pavimenti dei bagni.
Negli ultimi 3 anni è stato giudicato il giocatore del Liverpool più costante e utile alla squadra, eppure non si è montato la testa. Accetta in silenzio sconfitte e vittorie. Per tre volte è giunto sul podio del miglior calciatore africano, ma nei gradini più bassi. Eppure si è sempre presentato alle premiazioni e si è congratulato con il vincitore, anche quando questi era il compagno di squadra Salah.
Guadagna 150 mila sterline la settimana (circa 176 mila euro), è stato pagato uno sproposito, 43 milioni di sterline, per passare dal Southampton al Liverpool, ma non si è dimenticato delle miserrime origini: nel villaggio natale di Bambali, nel sud Senegal, ha costruito uno stadio, un ospedale, una moschea; ha stanziato 270 mila euro per edificare una scuola, dona ogni mese somme di denaro alle famiglie indigenti, magliette, scarpe e palloni ai ragazzini.
Il prestigioso riconoscimento di calciatore africano dell’anno gli è stato attribuito martedì scorso, 7 gennaio, nell’hotel Citadelle Albatros Sahl Hasheesh, a Hurgada, in Egitto, sulle rive del Mar Rosso, sotto un cielo azzurro, tra un tripudio di palme carezzate dal vento.
Nato povero, aveva avuto il divieto da parte paterna di giocare a pallone. “Il calcio è una perdita di tempo”, ripeteva il papà. “Mio padre era l’imam del villaggio, è morto quando avevo 11 anni, mia madre, mio zio e mia nonna mi hanno cresciuto. Nella mia adolescenza sono andato a lavorare nei campi dove coltivano riso e noccioline. Continuo a farlo quando torno a casa ogni estate. L’umiltà è un valore importante nel villaggio: stiamo zitti e ascoltiamo gli anziani quando parlano” ha raccontato, pochi mesi fa, Manè a Sport Witness. “Nel mondo rurale il pallone non era un modello da seguire per avere successo – ha sottolineato al sito Afriquefoot il vicepresidente della federazione senegalese di football, Abdolulaye Sow – Sadio ha dovuto combattere per uscire dal quel mondo”. E infatti un giorno, da adolescente, fugge di casa e se ne va a Dakar. La sua testardaggine e le sue capacità convincono la famiglia che la sua scelta è quella giusta. Viene preso dalla associazione sportiva Generation Foot, squadra di serie A locale, collegata al Metz francese.
Qui Sadio giunge a 18 anni e diventa professionista a fianco del connazionale e amico Kalidou Kulibaly, oggi nel Napoli, dove si contraddistingue per il suo impegno contro il razzismo negli stadi italiani e per la sua generosità verso i più sfortunati, sia in Italia sia nel paese d’origine.
L’esordio tra i professionisti per Mané è duro perchè soffre di una serie di incidenti. Ma non si arrende. Dalla Francia in Austria: nel 2012 prosegue la carriera con il Red Bull di Salisburgo. Gli inglesi lo tengono d’occhio, lo portano al Southampton. Da qui il giovane finisce al Liverpool dove, per usare l’enfatica terminologia calcistica, diventa un mito: contribuisce a far vincere al Liverpool la Coppa dei Campioni, la Fifa Club World Cup, la Uefa Super Cup. E porta anche la nazionale senegalese (“ i Leoni della Taranga”) a conquistare la finale (e il secondo posto) della Africa Cup of Nations in Egitto.
Nel 2016 è acquistato dai Reds di Liverpool per una cifra faraonica: 43 milioni di sterline. Si trova, però, oscurato mediaticamente da un altro africano, l’egiziano Mohamed Salah, vincitore per ben tre volte del titolo di calciatore africano dell’anno (ne abbiamo parlato in Africa Express). Non solo: Salah nel 2018 alza il trofeo a Dakar. Quest’anno lo stesso trofeo è stato sollevato da Mané in Egitto. Una bella rivincita. Dopo essere stato sul podio per tre volte – ha scritto Afriquefoot, “Sadio ha finalmente ottenuto la consacrazione a casa sua”, davanti al Salah e all’algerino Riya Mahrez. La cerimonia di Hurgada – officiata dall’ex campione Samuel Eto’o, ha confermato l’ottima salute di cui gode il mondo calcistico africano, almeno a livello di singoli uomini. “Questi giocatori – ha commentato un tifoso che celebrava a Dakar – sono degli ambasciatori, le cui orme i nostri giovani vogliono seguire. E sono di stimolo per spingerli a impegnarsi di più nella vita. Come ha fatto Sadio che è partito da zero”.
E Sadio se ne ricorda tutti i giorni: “Ho avuto fame, sono sopravvissuto a tempi difficili, ho giocato a piedi nudi, non sono andato a scuola. Non ho bisogno di mostrare auto e case di lusso” – ha scritto sul suo sito NsemWoha.com – “Preferisco che la mia gente riceva un po’ di ciò che la vita mi ha dato. Perché dovrei desiderare dieci Ferrari, venti orologi con diamanti e due aerei? Cosa faranno questi oggetti per me e per il mondo?”
Capite, ora, perché l’altro giorno tutto il villaggio di Bambali si è radunato davanti agli schermi tv per seguire la premiazione di Sadio?
Costantino Muscau
muskost@gmail.com
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