Cornelia I. Toegyes
6 gennaio 2020
E’ saltato l’accordo di pace siglato a settembre tra le tribù Beni Amer e sfollati Nuba del Nord Kordofan. Pesanti scontri tra i due gruppi etnici sono scoppiati a Port Sudan, l’importante scalo sul Mar Rosso. Quattordici persone sono state uccise, mentre altre 115 ferite, alcune anche gravemente. Parecchie case sono state incendiate.
Mohamed Hamdan Dagalo, vice presidente del Consiglio sovrano ma in passato capo dei janjaweed – diavoli a cavallo (come li chiamava la popolazione) che bruciavano i villaggi, stupravano le donne, uccidevano gli uomini e rapivano i bambini per renderli schiavi – aveva minacciato di espulsione le due tribù se non avessero firmato il trattato di pace nell’autunno scorso. Ora Dagalo è a capo delle Rapid Support Forces, il nuovo nome con cui di sono riciclati i janjaweed.
Secondo il ministro della salute della regione, Zaafaran El Zaki, 8 persone sarebbero state uccise durante una sparatoria, altre due, invece sarebbero state bruciate vive. E per arginare le violenze, le autorità del Red-Sea State hanno imposto il coprifuoco dalle 17.00 alle 05.00 già venerdì scorso.
Radio Dabanga, un’emittente con sede a Amsterdam generalmente molto ben informata, ha precisato che inizialmente le due fazioni si sarebbero affrontate con coltelli e pietre. Solo in seguito, secondo alcuni testimoni oculari, sarebbero arrivati uomini armati in sella alle loro moto che avrebbero aperto il fuoco sui residenti.
Domenica, Abdelfattah El Burhan, capo del Consiglio Supremo, ha inviato altre truppe a Port Sudan e ha dato l’ordine di arrestare chi è coinvolto nelle violenze degli ultimi giorni. Ha garantito un processo equo per tutti gli indiziati. Una nuova conferenza di pace è prevista per la prossima settimana nella Friendship Hall a Khartoum.
Ma il conflitto non si è limitato solamente a Port Sudan. Alla fine dell’anno sono scoppiati altri sanguinosi scontri a Genina nel ovest del Darfur. Oltre 47.000 residenti sono fuggiti dalle loro case, tra loro 20.000 bambini e 15.000 donne, attualmente ospitati in 19 ricoveri provvisori, come scuole, moschee e quant’altro. Gli sfollati vivono in condizioni precarie, come hanno riferito diverse organizzazioni non governative, che hanno chiesto a Khartoum interventi urgenti.
Un inizio dell’anno tragico in questa travagliata regione: scontri etnici tra le tribù masalit (di origine nilotica) e maaliya (di origine araba) hanno causato la morte di oltre 80 persone e di 190 feriti. Ma torna anche lo spettro dei paramilitari di RSF/janjaweed. Secondo quanto è stato riferito da notabili del luogo, un gruppo consistente di pastori armati fino ai denti, sarebbero arrivati in vetture appartenenti agli ex janjaweed e avrebbero attaccato i campi di Kerending, che ospitano gli sfollati. Gran parte delle strutture sono state bruciate dopo aver saccheggiato i beni dei residenti (macchine, moto, viveri e denaro contante).
Le Rapid Support Forces, di cui Dagalo conosciuto anche come Hametti, è il capo sono state fondate ufficialmente nel 2013 dall’ex presidente Omar Al Bashir, deposto l’11 aprile con un colpo di Stato. In passato hanno anche dato la caccia ai migranti, grazie a finanziamenti dell’Unione Europea, per arginare il flusso verso la Libia e dunque verso le coste italiane, porta d’entrata nella UE.
I paramilitari di RSF hanno avuto un ruolo importante durante le manifestazioni che hanno portato poi alla caduta del vecchio dittatore al Bashir. Inoltre sono attivi nella guerra nello Yemen, perchè il Sudan fa parte della coalizione capeggiata dall’Arabia saudita nella lotta contro i ribelli huti. Secondo quanto è stato riferito all’inizio di dicembre dal primo ministro Abdalla Hamdok, i soldati sudanesi nello Yemen sarebbero stati ridotti da 15.000 a 5.000. Khartoum ritiene inftti che questo conflitto non possa essere risolto militarmente.
In base al rapporto del Consiglio di Sicurezza dell’ONU dello scorso novembre, oltre mille paramilitari di RSF si troverebbero attualmente in Libia. Il Palazzo di Vetro ha accusato il governo di Khartoum e Dagalo di aver violato le sanzioni contro la Libia. Il Sudan ha negato qualsiasi coinvolgimento.
Hamdok, Dagalo e alti ufficiali, funzionari e notabili della società civile, dopo aver dialogato con i rappresentanti delle due tribù, sono rientrati nella capitale soddisfatti, giacché le parti in causa hanno promesso di sotterrare l’ascia di guerra.
Cornelia I. Toelgyes
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@cotoelgyes
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