Cornelia I. Toelgyes
27 dicembre 2019
Il Niger non conosce tregua. L’aggressività dei jihadisti è sempre più insistente. Il giorno di Natale, sono stati trucidati 14 militari nigerini nella regione di Tillabéri, nell’ovest del Paese, al confine con il Mali.
Il ministero degli Interni di Niamey ha comunicato giovedì che un convoglio, scortato da gendarmi e membri della guardia nazionale, è stato attaccato da uomini armati. Un altro militare è disperso. I soldati erano addetti alla sicurezza di un gruppo di persone incaricato di stilare le liste degli aventi diritto al voto nell’area di Sanam per le elezioni presidenziali che si svolgeranno alla fine del 2020.
Solo poche settimane fa, il 10 dicembre, i jihadisti hanno attaccato la base militare di Inates, lasciando sul campo oltre 70 soldati morti. L’aggressione era stata rivendicata da miliziani di Abou Walid al-Sahraoui, leader di “Etat Islamique dans le Grand Sahara”, attivo nell’area delle “tre frontiere” ai confini del Mali, Burkina Faso e Niger.
E Nel Burkina Faso, solo poche ore dopo la carneficina che è costata la vita a 35 civili martedì mattina, durante la notte tra il 24 e il 25 dicembre, i terroristi hanno teso un’imboscata a un gruppo di militari burkinabé a Hallalé, nella provincia di Soum nella regione del Sahel, da anni teatro delle aggressioni dei jihadisti.
I militari avevano ricevuto l’ordine di controllare un’area di transito spesso utilizzato da gruppi armati, quando sono stati attaccati. Undici soldati sono stati uccisi, mentre 5 terroristi sarebbero stati neutralizzati. Una fonte militare ha riferito: “In questa zona siamo in fase offensiva da tempo”.
Il massacro di Arbinda – località vicino alla frontiera con il Mali – avvenuto martedì scorso – è ritenuto il peggiore verificatosi nel Paese dal 2015, anno nel quale sono iniziate le incursioni di vari gruppi armati. Alla vigilia di Natale sono stati ammazzati 35 civili, tra loro 31 donne, 4 soldati e 3 gendarmi. Finora l’attacco non è stato ancora rivendicato.
Lo Stato maggiore dell’esercito ha riferito che grazie a un’imponente controffensiva sarebbero stati uccisi 80 jihadisti. Inoltre sarebbero stati sequestrati armamenti, munizioni e un centinaio di moto.
Il comune di Arbinda è già stato teatro di ripetute aggressioni. All’inizio di aprile avevano perso la vita 62 persone. 32 erano state ammazzate dei terroristi e 30 durante un conflitto comunitario. E a maggio sono state attaccate due chiese, una protestante e una cattolica nella stessa regione, mentre sempre a Arbinda, 19 persone sono morte durante un’aggressione in pieno giorno.
Il presidente della ex colonia francese, Roch Marc Christian Kaboré, spesso criticato per non aver usato il pugno di ferro contro i gruppi jihadisti, martedì stesso ha proclamato due giorni di lutto nazionale.
E anche nel Mali c’è stato nuovamente un “piccolo” attacco. Un uomo è morto e altri quattro sono stati feriti durante un’incursione nel villaggio di Diangassabou, nell’area Bandiagara, territorio dei dogon il 23 dicembre. Secondo le autorità si sarebbe trattato di un attacco terrorista; gli aggressori, armati fino ai denti, grazie all’intervento dell’esercito sono stati respinti
In Burkina Faso è sparito anche un giovane italiano, Luca Tacchetto, insieme alla sua fidanzata canadese, Edith Blais. Da oltre un anno non si hanno più loro notizie. Mentre in Niger, a pochi chilometri dal confine burkinabé è stato rapito nel settembre 2018 un altro italiano, il sacerdote Pierluigi Maccalli. Il silenzio della Farnesina pesa come un macigno.
Pochi gorni dopo la strage di Inates in Niger, i capi di Stato del G5 Sahel (Ciad, Mauritania, Niger, Burkina Faso e Mali) si sono riuniti a Niamey per fare il punto della situazione. In tale occasione hanno fatto un appello alla comunità internazionale per un maggiore sostegno nella lotta contro il pericolo jihadista, che colpisce attualmente sopratutto Burkina Faso, Niger e Mali. I cinque Stati del Sahel hanno inoltre deciso di rinforzare la loro cooperazione. Kaboré, Idriss Déby (Ciad), Mohamed Ould Cheikh Ghazouani (Mauritania), Ibrahim Boubacar Keïta (Mali) e Mahamadou Issoufou (Niger), vogliono assolutamente migliorare il coordinamento tra le forze congiunte, le forze nazionali e quelle internazionali alleate. Hanno anche chiesto una più ampia collaborazione delle forze di sicurezza e dei servizi dei Paesi confinanti per contrastare terrorismo e criminalità transfrontaliera.
Malgrado la presenza di militari francesi dell’Operazione Barkhane, forte di 4.500 uomini in tutto il Sahel, i caschi blu di MINUSMA in Mali, che comprende oltre 13.000 unità, truppe americane nell’ambito della missione AFRICOM, tedesche e anche italiane con la missione MISIN (Missione Bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger), l’insicurezza si inasprisce di giorno in giorno in tutta la regione e rischia di espandersi verso altri Paesi del golfo di Guinea.
Ma il terrorismo non si combatte solo con le armi. La risposta militare, specie quando questa è accompagnata da violazioni dei diritti umani, spinge molte persone a allearsi con i gruppi terroristi. Per arginare il fenomeno ci vuole innanzi tutto una migliore governance, combattere corruzione, povertà estrema, maggiore istruzione e assistenza sanitaria; dove non c’è giustizia sociale non ci sarà mai pace.
Cornelia i. Toelgyes
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