Massimo A. Alberizzi
16 dicembre 2019
Un anno fa, esattamente un anno fa, l’italiano Luca Tacchetto e la sua compagna canadese, Edith Blais, sono stati visti per l’ultima volta. Stavano partendo da Bobo Dioulasso, in Burkina Faso, ed erano diretti in Togo. Hanno salutato il loro amico francese, Robert Guilloteau, nella cui casa avevano passato la notte e si sono diretti verso la frontiera. Da qual momento sono scomparsi nel nulla. Nessuna notizia, nessun indizio. Non è trapelato nulla. La Farnesina, come sempre in questi casi ha chiesto di mantenere un assoluto riserbo, cui i familiari si sono attenuti strettamente. Un riserbo che lascia perplessi alla luce dei depistaggi, delle notizie false, delle mancate indagini o del pressapochismo con cui sono state condotte nel caso di un altro ostaggio italiano, questa volta rapita in Kenya, Silvia Romano.
L’unica notizia certa l’ha data a inizio ottobre la ministro degli Esteri canadese, Chrystia Freeland. Durante un comizio elettorale aveva annunciato: “Edith è viva ma le indagini sono assai complicate e quindi è opportuno non dare notizie e dettagli che potrebbero danneggiare la vita dell’ostaggio”. Era tempo di elezioni in Canada e come si sa bene i politici spesso in campagna elettorale non sono il massino della sincerità. Non dovremo meravigliarci se si dovesse scoprire che la questione è stata usata in maniera strumentale. La ministra parlava di Edith ma è logico pensare che la notizia riguardava anche Luca.
Non è certo, ma è probabile che Luca ed Edith siano stati portati via da una banda di criminali. Da quelle parti jihadismo e delinquenza vanno a braccetto.
La zona occidentale del Sahel, da tempo è infestata da islamici di vario genere (che fanno riferimento ad Al Qaeda o all’ISIS) e predoni che con la crisi economica sono diventati sempre più aggressivi.
Luca ed Edith erano partiti in auto dal Veneto e dopo aver lasciato l’Europa avevo superato il Marocco e la Mauritania. Sono entrati in Mali e passati in Burkina Faso. Probabile che qualcuno li abbia visti, seguiti, monitorati e quindi catturati.
In Mauritania, proprio al confine a cavallo con il Mali, il 18 dicembre 2009, era stata rapita dai predoni una coppia di italiani che con un minibus era diretta anch’essa in Burkina. Di Sergio Cicala e la moglie, Philomen Kabouree non si seppe più nulla per una decina di giorni.
Poi il 28 dicembre il sequestro venne rivendicato da Al Qaeda per il Maghreb Islamico. Furono liberati il 16 aprile successivo.
Una volta rilasciati scomparvero dalle cronache ma un paio d’anni dopo, in un’intervista a Ouagadougou, Sergio Cicala mi raccontò che i rapitori, criminali comuni, dopo qualche giorno di prigionia, li avevano consegnati agli islamici.
I gruppi fondamentalisti attivi nel Sahel, operano in due ambiti: politico e criminale. Quest’ultimo, per finanziare il terrorismo, riguarda non solo il rapimento di occidentali a scopo di riscatto, ma anche il traffico di droga. Nel novembre 2009 un Boing Cargo 737 colombiano proveniente dal Venezuela carico di cocaina era atterrato sulla sabbia in Mali. Una volta scaricato l’aereo era stato incendiato, perché non sarebbe potuto più ripartire. Il valore del carico era enormemente superiore a quello del vecchio jet.
Secondo informazioni riservate che però non è stato possibile verificare sul campo, gli italiani hanno affidato le trattative per la liberazione di Luca e Edith a un vecchio notabile della tribù babariché, Baba Olud Choueckh. E’ lui che, a suo tempo, aveva trattato la liberazione dei Cicala.
Massimo A. Alberizzi
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