Speciale per Africa ExPress
Massimo A. Alberizzi
13 dicembre 2019
L’opposizione ha boicottato le elezioni presidenziali che si sono tenute ieri in Algeria. La votazione, decisa dai vertici militari, non è stata assolutamente condivisa da chi dal 22 febbraio ogni venerdì organizza e partecipa alle proteste di massa, che hanno costretto il presidente Abdelaziz Bouteflika a dimettersi ad aprile dopo i suoi quasi 20 anni di governo. Dal 2001 in Algeria le dimostrazioni erano illegali.
I democratici, che vogliono un cambiamento radicale dell’organizzazione politica del Paese, più tempo prima di organizzare un voto che nella condizioni attuali del Paese dove tutto è in mano ai militari non può essere libero e democratiche: avevano chiesto più tempo per sbarazzarsi di tutti i vecchi arnesi e delle norme autoritarie del regime. Venerdì scorso ha segnato la 42a settimana consecutiva di proteste: I manifestanti del movimento conosciuto come “Hirak” sono scesi in piazza in gran numero, non solo in Algeria, ma in diverse città del mondo. La controversa elezione presidenziale è stata liquidata come una “finzione”.
I seggi ieri si sono chiusi alle 19 ora locale e l’affluenza è stata di poco superiore al 35 per cento: troppo poco e segna un’altra sconfitta per l’apparato militare. Gli aventi diritto al voto erano pi di 24 milioni. La polizia antisommossa è stata dispiegata giovedì all’alba per bloccare l’accesso a Maurice Audin Square e all’iconico ufficio della Grand Post nel centro di Algeri, epicentro delle proteste popolari.
L’Autorità Indipendente di Monitoraggio Elettorale dell’Algeria (NIEMA) in novembre aveva ammesso alla competizione solo 5 candidati sui 22 che avevano chiesto di correre. Tutti e cinque hanno partecipato al governo del dittatore o l’hanno sostenuto. Un voto ambiguo, quindi, i cui protagonisti sono stati i candidati da un lato e la piazza dall’altro.
Tra i cinque sfidanti Abdelmadjid Tebboune e Ali Benflis sono entrambi ex primi ministri. Il primo ha ricoperto quel ruolo nel 2017 per poco meno di tre mesi: licenziato in troco il presidente Bouteflika che l’ha sostituito con Ahmed Ouyahia. Ali Benflis è stato il primo ministro per tre anni, dal 2000 al 2003. Al termine del mandato è stato scelto come segretario generale del Fronte di Liberazione Nazionale, il partito al potere. Un paio di volte si è candidato, senza successo, contro il dittatore per sostituirlo alla presidenza.
Abdelaziz Belaid, è il terzo candidato. Ha fondato il Fronte di El-Moustakbal (Futuro), di cui è il leader. Come Benflis, è anche lui un ex membro del FLN. Ha corso alle elezioni del 2014 e ha ricevuto meno del 4 per cento dei voti, piazzandosi al terzo posto.
Azzedine Mihoubi, invece, è un ex giornalista e scrittore che ora serve come ministro della Cultura. Era anche il direttore generale della stazione radio di proprietà statale che recitava le glorie del regime.
Infine a correre c’è anche il capo del partito islamista El-Binaa, Abdelkader Bengrina. Anche lui ha ricoperto un ruolo importante: dal 1997 al 1998 è stato ministro del Turismo.
La scorsa settimana tutti i candidati hanno partecipato a un dibattito televisivo, il primo nel suo genere nella storia algerina, ma ai manifestanti è sembrato più uno show per far credere che finalmente il Paese è entrato nell’era della democrazia. “Cambiare tutto per non cambiare nulla – ha sentenziato al telefono un dimostrante algerino che parla perfettamente italiano ma avendo paura di ritorsioni vuol restare anonimo -. Voi in Italia conoscete bene questo motto del romanzo ‘Il Gattopardo’. Ebbene qui vogliono applicarlo alla lettera”
I manifestanti antigovernativi vedono i cinque candidati come un prolungamento del regime di Bouteflika: “Come si può pensare a questo punto che le elezioni possono essere libere e giuste? – si domanda retoricamente il nostro interlocutore -. Se il vecchio dittatore non fosse stato costretto a dimettersi quei cinque sarebbero ancora alla sua corte spolpando questo Paese. Il cancro dell’Algeria è la corruzione dilagante. Questa gente ha vissuto sguazzando nella corruzione, ne ha ricavato ingenti profitti. Impensabile che voglia costruire una diga per combatterla”.
Secondo il governo le elezioni di oggi sono l’unico modo per porre fine alla contrapposizione con l’opposizione in piazza. Ma intanto, per non perdere il vecchio vizio di sbattere in galera gli oppositori, il 10 dicembre tre ex leader politici sono stati condannati a lunghe pene detentive. Le accuse sempre le stesse: corruzione, riciclaggio di denaro, appropriazione indebita di denaro pubblico e abuso d’ufficio.
L’ex primo ministro Ahmed Ouyahia è stato sentenziato a 15 anni di prigione e il suo predecessore Abdelmalek Sellal ha ricevuto una pena leggermente più breve di 12 anni. È stato emesso un mandato di arresto internazionale per l’ex ministro dell’industria Abdesslam Bouchouareb, all’estero. E’ stato condannato in contumacia a 20 anni. In carcere il giorno prima è finito il responsabile della campagna elettorale di Ali Benflis: spionaggio con un Paese straniero.
I manifestanti non credono che questi siano passi verso un’organizzazione più libera e più giusta. Temono invece che si tratti di semplice fumo negli occhi volto a mantenere al potere ufficiali e generali.
Gli accusati sono stati processati da un tribunale militare e così le sentenze vengono interpretate come un regolamento di conti all’interno della nomenclatura dell’esercito. L’obbiettivo non sembra essere una democratizzazione del sistema ma piuttosto un semplice cambio di persone. Insomma le redini del potere restano nelle mani dell’apparato militare.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi
@africexp