Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
Firenze, 27 novembre 2019
Altro giro di vite del presidente, Abdel Fattah al-Sisi, contro la stampa libera in Egitto. Questa volta è toccato ai giornalisti della testata indipendente Mada Masr. Sabato scorso, nelle prime ore della mattina era stato arrestato il reporter Shady Zalat.
Quattro agenti in borghese avevano suonato nell’appartamento dove il giornalista vive con la moglie e la figlia. Senza identificarsi hanno sequestrato il suo laptop e quello della moglie, i loro cellulari e documenti di lavoro. Shady era stato portato via fornendo alla moglie indicazioni sbagliate sul luogo di destinazione del prigioniero.
Con il suo arresto si era temuto il peggio. Al punto che Hassan al-Azhari, avvocato di Mada Masr aveva detto: “Consideriamo Shady Zalat scomparso”. Nessuno sapeva dove fosse stato portato e si temeva che fosse finito nel buco nero nel quale era passato Giulio Regeni.
Mentre i colleghi di Zalat si preoccupavano per la sua incolumità, domenica le forze di sicurezza sono entrate nella redazione di Mada Masr. Nove agenti di sicurezza in borghese, hanno fatto irruzione e hanno confiscato i portatili e i cellulari dei redattori. Rifiutando di dichiarare la loro identità hanno raccolto invece i documenti di identità dei sedici giornalisti presenti.
Un’ora dopo la perquisizione della redazione è arrivata la chiamata di Hassan al-Azhari. Dopo 36 ore di reclusione, Shady Zalat era libero. Lo avevano lasciato sull’autostrada, alla periferia del Cairo.
Per tre ore i giornalisti presenti in redazione sono stati interrogati più volte. Tra questi anche due reporter francesi di France24 arrivati per intervistare la capo redattrice, Lina Attallah, sulla detenzione di Zalat. Però venivano arrestati, oltre a Lina Attallah, due giornalisti, Rana Mahmoud e Mohamed Hamama. Portati alla centrale di polizia di Dokki sono stati rilasciati dopo qualche ora.
Non è un caso che gli arresti dei giornalisti e la perquisizione della redazione siano avvenuti dopo un’inchiesta, non firmata, sul primogenito del presidente. L’indagine, “Il figlio maggiore del presidente, Mahmoud al-Sisi, è passato dalla potente posizione di intelligence alla missione diplomatica in Russia”, probabilmente non è piaciuta.
Fonti anonime del controspionaggio (General Intelligence Service-GIS), nell’indagine non sono a favore delle capacità di Mahmoud. Al GIS “ha causato crescente disagio riguardo al modo ‘conflittuale’ ed ‘estremo’ in cui ha ha gestito questioni di sicurezza ignorando il consiglio di molti”.
Fonti anonime hanno raccontato a Mada Masr che mentre al-Sisi era all’ONU, su ordine del presidente, Mahmoud al-Sisi ha supervisionato la feroce repressione di settembre che ha seguito le proteste. Ci sono stati oltre 4.000 arresti, tra i quali importanti attivisti, avvocati, professori universitari e figure di opposizione politica. Una gestione fallimentare della crisi.
Anche per queste ragioni è meglio che, dal 2020, diventi inviato militare alla missione diplomatica egiziana a Mosca. Un modo per “ampliare gli orizzonti” di Mahmoud. E soprattutto un pesante avvertimento a Mada Masr, ai media indipendenti egiziani e alle loro fonti che trattano della famiglia reale, oh pardon, presidenziale e del governo.
Sandro Pintus
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