Cornelia I. Toelgyes
24 novembre 2019
OCHA, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari, ha sospeso qualsiasi attività con la Caritas nella Repubblica Centrafricana. L’ex segretario generale dell’organizzazione cattolica nel Paese, Luc Delft, sarebbe sospettato di aver commesso abusi sessuali contro minori a Bangui, la capitale, e a Kaga Bandoro, città nel nord.
Il procuratore generale di Bangui, ha aperto un’inchiesta il 7 ottobre scorso. “La bomba” è scoppiata dopo un servizio della CNN, emittente televisiva statunitense.
Secondo quanto riportato dalla stampa belga, Delft sarebbe stato indagato per molestie sessuali su minori, per fatti risalenti al 2001. All’epoca era educatore in un collegio gestito da salesiani a Gand in Belgio e nel 2009 è stato arrestato perché trovato in possesso di materiale video-pornografico. Nel 2012 è stato poi condannato a un anno e mezzo di prigione con la condizionale, l’interdizione dei diritti civili per cinque anni e l’obbligo di sottoposizione a cicli di cure e controlli psicologici, volti a monitorare il relativo stato di salute mentale.
Malgrado l’interdizione a svolgere qualsiasi attività con bambini e/o minori, nel 2013 è stato inviato nella Repubblica Centrafricana e nel 2015 ha ricevuto un importante incarico in seno alla Caritas nell’ex colonia francese.
In un comunicato, l’Agenzia dell’ONU, che coordina tutte le attività umanitarie nazionali e internazionali nel Paese, ha fatto sapere: “Tolleranza zero per abusi e sfruttamento sessuale nei confronti del personale e di quello dei nostri partner, come la Caritas, che è nel Paese per aiutare la popolazione”.
La Caritas è attiva con missioni di sviluppo e assistenza alle vittime dal 2013, subito dopo l’inizio del sanguinoso conflitto interno scoppiato alla fine del 2012. Inoltre sostiene giovani e giovanissimi vulnerabili, tra cui ex bambini soldato.
Malgrado le pesanti condanne, il prete è stato inviato nella Repubblica centraficana per occuparsi nuovamente di bambini e giovanissimi. Dignity, fondazione cattolica belga che lotta contro gli abusi sessuali in seno alla Chiesa, aveva espresso perplessità già a giugno, quando il sacerdote era ritornato in patria, precisando che secondo loro non avrebbe mai dovuto ricoprire alcun incarico nell’ex colonia francese.
In passato, anche caschi blu di MINUSCA, Missione multidimensionale integrata dell’ONU nella Repubblica Centrafricana – rinnovata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza, con risoluzione 2499 (2019) il 15 novembre scorso per un altro anno – sono stati accusati di abusi sessuali su minori. L’inchiesta è poi stata archiviata. Lo stesso è accaduto a diversi militari francesi della Operazione Sangaris – Missione terminata nell’ottobre 2016 – indagati dalla Procura di Parigi per gli stessi reati. Ma anche in questo caso i soldati sono stati scagionati.
MINUSCA è attualmente presente nel Paese con 11.650 militari e 2080 poliziotti. L’ultimo trattato di pace, preparato minuziosamente sin dal 2017 dall’Unione Africana e tutti gli attori del conflitto è stato siglato a Khartoum, la capitale del Sudan, i primi di febbraio. Nessuno dei precedenti accordi è stato in grado a riportare stabilità nel Paese e ora, a quanto sembra, nemmeno l’ultimo, l’ottavo. Ancora oggi 2,6 milioni di persone necessitano di aiuti umanitari e il 38 per cento dei bambini sotto i 5 anni soffrono di denutrizione cronica. 1,2 milioni di centrafricani hanno dovuto lasciare le proprie case, tra loro 581 mila sfollati interni, mentre 598 mila hanno cercato protezione nei Paesi confinanti.
Il conflitto ha anche conseguenze sull’educazione dei bambini. Molte scuole sono chiuse, perchè distrutte o occupate da gruppi armati; si stima che il 31 per cento dei piccoli in età scolare sia attualmente privo di istruzione.
L’assistenza sanitaria, poi, è una delle peggiori al mondo anche per mancanza di medici e personale paramedico, 7,1 ogni 10.000 abitanti. Anche il tasso di vaccinazione è piuttosto basso e ciò aumenta il rischio di propagazione di epidemie.
L’insicurezza costante e le cattive condizioni delle strade, rendono davvero difficile il trasporto degli aiuti umanitari, per non parlare degli attacchi a convogli e operatori da parte di gruppi armati e criminali.
La crisi dell’ex colonia francese comincia alla fine del 2012: il presidente François Bozizé dopo essere stato minacciato dai ribelli Séléka, soprattutto musulmani) alle porte di Bangui, chiede aiuto all’ONU e alla Francia. Nel marzo 2013 Michel Djotodia, prende il potere, diventando così il primo presidente di fede islamica del Paese. Dall’ottobre dello stesso anno i combattimenti tra gli anti-balaka, miliziani cristiani, e gli ex-Séléka si intensificano e lo Stato non è più in grado di garantire l’ordine pubblico. Francia e ONU temono che la guerra civile possa trasformarsi in genocidio. Il 10 gennaio 2014 Djotodia presenta le dimissioni e il giorno seguente parte per l’esilio in Benin. Il 23 gennaio 2014 viene nominata presidente del governo di transizione Catherine Samba-Panza, ex-sindaco di Bangui.
Dall’era François Bozizé il Paese ha visto alternarsi ben quattro presidenti: Michel Djotodia, Alexandre-Ferdinand N’Guende, Catherine Samba-Panza e infine Faustin-Archange Touadéra, eletto nel marzo 2016.
Il 15 settembre 2014 arrivano anche i caschi blu dell’ONU (MINUSCA), che attualmente sono presenti con 12.870 uomini in divisa, oltre allo staff civile forte di 1.162 persone (tra volontari ONU, personale internazionali e locale).
Il 31 ottobre 2016 la Francia ritira ufficialmente le sue truppe dell’operazione Sangaris, che si è protratta per ben tre anni.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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