Cornelia I. Toelgyes
20 novembre 2019
I ribelli houthi hanno sequestrato una nave nel Mar Rosso. Lo ha comunicato la coalizione, capeggiata dall’Arabia Saudita. Domenica mattina l’imbarcazione, la Rabigh-3, si trovava nel sud del Mar Rosso e stava rimorchiando una piattaforma di perforazione, quando è stata attaccata da un gruppo di uomini armati affiliati ai combattenti in guerra con il governo.
Secondo il portavoce del ministero della Difesa del regno wahabita, Turki al-Maliki, la piattaforma sarebbe di proprietà di una società sud-coreana. Non è dato sapere il numero dei membri dell’equipaggio a bordo del rimorchiatore al momento del sequestro.
Un leader dei ribelli, Mohammad al-Houthi, ha confermato la cattura dell’imbarcazione a largo dello Yemen e ha precisato che al momento attuale la guardia costiera del Paese sta svolgendo indagini per determinare la proprietà del natante.
Secondo quanto riporta sul suo sito Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), il rimorchiatore batterebbe bandiera saudita e il suo porto di attracco sarebbe Gedda. L’ambasciatore sud-coreano accreditato nello Yemen, durante un incontro con il ministro degli esteri yeminita, Mohammed Abdullah al-Hadrami, ha condannato severamente il sequestro e ha chiesto l’immediato rilascio del natante, aggiungendo: “Questi atti provocatori e illegali hanno effetto negativo sulla libertà di navigazione internazionale”.
E Gerry Northwood, della compagnia per la sicurezza marittima internazionale MUST ha sottolineato che in questi anni di guerra gli houthi avrebbero dimostrato di avere grandi capacità in svariati campi, sia che si tratti di attacchi missilistici, di posa di mine, o, come in questo caso, del sequestro di un’imbarcazione. “Il fatto che i sauditi non siano in grado di proteggere tutte le loro navi in questo tratto di mare è un bel problema per loro”, ha commentato.
Il clima tra gli attori di questa sanguinosa guerra è nuovamente teso. Eppure, dallo scorso settembre, dopo il raid sugli impianti petroliferi sauditi, sono in atto colloqui tra gli houthi e l’Arabia Saudita con l’intermediazione dell’Oman, Paese che confina sia con lo Yemen che con il regno wahabita. Gamal Amer, un negoziatore degli houthi, ha fatto sapere che le parti comunicano via video conferenza da ben due mesi. Anche un alto funzionario di Riad ha confermato che sono in atto dialoghi con gli avversari yementi. “Bisogna trovare una soluzione per porre fine a questo conflitto”, ha sottolineato durante un incontro con alcuni giornalisti all’inizio del mese a Washington.
Mentre il 5 novembre scorso i separatisti del sud e il governo riconosciuto a livello internazionale, hanno firmato un accordo a Riad.
Alla cerimonia, trasmessa in diretta TV, oltre alle massime autorità saudite erano presenti anche esponenti degli Emirati Arabi Uniti. Il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi e il capo di STC (Consiglio di Transizione del Sud, un’organizzazione politica secessionista dello Yemen, fondato nell’aprile 2017), Aidarous Al-Zoubeïdi. Il documente prevede l’integrazione di membri si STC nel governo, in cambio del ritorno dell’amministrazione di Hadi a Aden. I secessionisti del sud, durante i combattimenti dello scorso agosto avevano preso il controllo della città portuale, costringendo Hadi a lasciare il palazzo governativo, e aprendo così una profonda crepa nell’alleanza sunnita. (Dopo il colpo di Stato del 2014 da parte degli houthi, la cui roccaforte è tutt’ora la capitale Sanaa, nel nord del Paese, Hadi è stato costretto a trasferire il governo a Aden, che si trova nel sud).
STC era alleato dei miliziani fedeli al presidente contro gli houthi, nemico comune da combattere, sennonchè lo scorso agosto i secessionisti del sud avevano chiesto il riconoscimento di autogoverno della città portuale.
Durante la cerimonia, che si è svolta nel palazzo reale a Riad, la capitale saudita, il principe ereditario Mohammed ben Salmane ha detto: “Questo accordo aprirà un nuovo periodo di stabilità nello Yemen”. Anche l’inviato speciale dell’ONU nel travagliato Paese della penisola araba, Martin Griffiths, ha salutato positivamente la firma dell’accordo.
Finora, però, il governo riconosciuto a livello internazionale non ha potuto fare ritorno nella propria sede di Aden e fonti ufficiali hanno deplorato i separatisti del sud per aver ancora mantenuto le posizioni chiave nella città portuale.
Per il momento la pace è ancora lontana. A pagare il prezzo più alto sono ovviamente i bambini: 12 milioni – quasi tutta la popolazione infantile – sono in stato di necessità.
Eppure nel 1991 lo Yemen fu tra i primi Stati a ratificare la Convenzione per i Diritti dell’infanzia, approvata dall’ONU il 20 novembre 1989. Purtroppo il governo non ha saputo mantenere la promessa fatta. Troppi bambini sono brutalmente stati uccisi durante gli attacchi. A tutt’oggi cinque milioni di piccoli non hanno accesso all’istruzione
Una guerra che si combatte su più fronti. I dati ufficiali parlano di 17 mila morti tra il 2015 e il 2018, altre fonti stimano siano tra i 70 e i 100 mila. Milioni di persone sono state costrette alla fuga. Secondo Relief Web, dall’inizio di quest’anno le vittime civili sarebbero 700, mentre i feriti 1.600.
La guerra in Yemen vede contrapposte due fazioni: da un lato gli houti, un movimento religioso e politico sciita, che appoggiano il presidente destituito Ali Abd Allah Ṣaleḥ, ucciso nel dicembre 2017; dall’altro le forze del presidente Mansur Hadi, rovesciato dagli houthi con un colpo di Stato nel gennaio 2015. La coalizione saudita è entrata nel conflitto nel marzo 2015 a sostegno di Hadi, che a tutt’oggi è riconosciuto dalla comunità internazionale come capo di Stato.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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