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Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Chakama (Kenya), 15 novembre 2019
Uno dei presunti rapitori di Silvia Romano è scomparso, si è volatilizzato e ha violato le consegne che lo obbligavano a ottemperare agli ordini del tribunale, cioè a presentarsi alla polizia ogni tre giorni. Ma non si esclude che sia stato ucciso per impedirgli si rivelare quello che sa sul sequestro della ragazza milanese. Ibrahim Adhan Omar venerdì scorso ha firmato l’ultima volta il registro delle presenze (procedura prevista dalla cauzione) e poi è sparito. Era stato arrestato il 10 dicembre dell’anno scorso, venti giorni dopo il rapimento di Silvia, in un covo terrorista di Al Shebab (i miliziani islamici somali legati ad Al Qaeda), armato di mitra, munizioni e granate, a Bangali, una cittadina nei pressi di Garissa (vicino al confine con la Somalia), famosa perché il 2 aprile 2015, i fondamentalisti nel campus dell’Università, trucidarono 148 studenti e ne ferirono settantanove. Ciononostante Ibrahim aveva ottenuto il permesso di pagare una cauzione per restare fuori dal carcere.
Comunque il processo è stato rimandato al 20 novembre, giorno dell’anniversario del rapimento.
Ieri la prevista udienza è cominciata, con 4 ore e mezza di ritardo, a Chakama, il povero villaggio dove Silvia è stata portata via, a un centinaio di chilometri da Malindi. Si è tenuta lì, in mezzo al nulla, perché, secondo la ragione ufficiale, i testimoni non avrebbero avuto i soldi per raggiungere la sede del tribunale, Malindi appunto.
Alla sbarra i tre accusati, Moses Luari Chende, un keniota giriama, l’etnia che abita sulla costa del Paese, Abdulla Gababa Wari, anche lui keniota, ma della tribù orma (quella accusata di aver organizzato il sequestro) di origine somala, e poi Ibrahim Adhan Omar, il più pericoloso: ritenuto la mente organizzativa del sequestro.
Ma quest’ultimo non si è presentato provocando l’irritazione della giudice Julie Oseko, che ha chiesto al legale di Ibrahim cosa pensasse dell’assenza del suo cliente. L’avvocato Samsung Gekanana ha allargato le braccia e scosso la testa. “Avevamo appuntamento qui stamattina e l’ho aspettato invano anch’io”, si è sfogato con Africa ExPress subito dopo la chiusura dell’udienza. Aggiungendo poi con il cellulare in mano: “Guardi qua! Sto provando a chiamarlo, ma il suo telefono è spento”.
Ibrahim Adhan Omar, come abbiamo già denunciato, è uscito dal carcere perché la cauzione è stata pagata il 28 giugno scorso da Juma Suleiman, il padre di un presunto terrorista arrestato a Kwale, vicino Mombasa, in marzo. Il parere della procuratrice, Alice Mathangani, e del capo della polizia, Peter Muthiti, era stato negativo perché temevano la fuga del sospettato. Invece la Corte aveva deciso ugualmente di concedergli il beneficio della cauzione. Il risultato è che Ibrahim è scappato portandosi dietro i segreti di un rapimento piuttosto anomalo.
Scopo dell’udienza doveva essere quello di ascoltare i testimoni che hanno assistito al ratto, o comunque avevano informazioni importati per individuare i rapitori. Nessuno di loro è stato ascoltato nel merito. Piuttosto, tre di loro hanno chiesto la parola alla giudice Oseko ed esternato alla Corte monocratica il loro timore di essere uccisi: ”Chakama è un piccolo centro e ci conosciamo tutti. Per favore – hanno implorato – concludete questo processo in fretta. Abbiamo paura che qualcuno voglia ucciderci per tapparci la bocca. Ma non solo ormai viviamo in un clima di sospetto che sta distruggendo i rapporti tra di noi”. Affermazioni gravi che hanno sottolineato il clima di terrore che si respira a Chakama.
Ieri però, per la prima volta, finalmente ha partecipato tra il pubblico dell’udienza – piuttosto misero in verità – una funzionaria dell’ambasciata italiana. La sua presenza è stata notata ed ha avuto un effetto incoraggiante sugli inquirenti e i funzionari di polizia che si sono (finalmente!) sentiti osservati e controllati.
Purtroppo forse poteva assistere all’udienza anche la viceministra degli Esteri Emanuela Del Re, che si trova a Nairobi per partecipare al summit delle Nazioni Unite su “Popolazione e Sviluppo”. Ma si è fermata nella capitale keniota, dove ha incontrato diversi alti dirigenti dell’ex colonia britannica, inclusa la titolare degli Esteri del Kenya, Monica Juma. “La riunione – secondo un comunicato ufficiale, che non dice nulla – ha consentito di fare il punto sulla collaborazione a livello operativo tra i due Paesi per una positiva soluzione della vicenda di Silvia Romano: la ministra Juma ha ribadito il forte impegno del Kenya in tal senso”.
Nessuna risposta alle domande che la famiglia e l’opinione pubblica si fanno: dov’è Silvia? Chi l’ha rapita? E soprattutto: è ancora viva? Non rivelare nessun dettaglio di quanto è accaduto e limitarsi a frasi di circostanza, come quelle contenute nel comunicato della Farnesina, mina ancora di più il prestigio delle nostre istituzioni.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi
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