Sandro Pintus
9 novembre 2019
Lo Zimbabwe sta ricadendo nell’incubo dell’era Mugabe. La crisi economica e sociale dell’ex colonia britannica sta rapidamente peggiorando. Dopo l’aumento del prezzo dell’energia elettrica e la carenza di combustibile per il trasporto pubblico e privato, la situazione si è aggravata anche nella sanità.
Qualche settimana fa il Fondo Monetario Internazionale (FMI), nel suo bollettino, aveva dato l’allarme causato dall’inflazione arrivata al 300 per cento.
Da oltre due mesi e mezzo i medici sono in sciopero per gli aumenti salariali, mentre il settore sanitario si sta deteriorando. Con l’inflazione a tre cifre percentuali, gli stipendi dell’ex colonia britannica sono stati svalutati oltre il 90 per cento. Il salario di 2000 USD di un medico oggi ne vale 160.
Davanti alle proteste nella sanità che hanno paralizzato i maggiori ospedali pubblici i cui medici lavorano solo nelle emergenze, il governo ha risposto duramente. Ha licenziato 211 dottori perché assenti senza motivazione per oltre 5 giorni, mentre 512 sono stati o devono essere processati.
Si tratta di un terzo del 1.600 dottori impiegati nella sanità pubblica, che lamentano anche di essere stati minacciati di morte dalla polizia. Il ministro Finanze, Mthuli Ncube, ha affermato che il Paese perde ogni anno 500 milioni di USD. La causa è la fuga dei cittadini che, viste le carenze dalla sanità pubblica, vanno (perché possono permetterselo) a farsi curare all’estero. E il presidente Mnangagwa chiede pazienza ai medici mentre, con estrema difficoltà, il suo governo cerca di sollevare l’economia.
Alle proteste si sono aggiunti anche i 230mila lavoratori statali che non ce la fanno a sopravvivere a causa degli stipendi diventati bassissimi. Oggi non si possono permettere nemmeno i biglietti del bus per tornare a casa e molti impiegati dormono nel posto di lavoro. Lo stipendio più alto, equivalente a 450 USD ormai ne vale 50, assolutamente insufficienti ad avere il minimo indispensabile.
Medici e lavoratori statali vogliono che il governo leghi i loro salari al dollaro americano, (1 dollaro zimbabwiano=1 USD) come era fino a febbraio passato). Neanche l’incontro della settimana scorsa tra governo e Civil Service Apex Council (CSAC), il sindacato degli statali, è servito a qualcosa. La risposta è stata lapidaria: “Non ci sono soldi”.
Il popolo zimbabwiano pare non credere più alle promesse di Emmerson Mnangwagwa, fatte dopo il colpo di Stato del novembre 2017 contro Robert Mugabe. Promesse ripetute con la sua elezione alla presidenza della Repubblica nell’agosto 2018, un “nuovo corso” che però non riesce a realizzare.
Oltre ai problemi socio-economici si è aggiunta la grande siccità che ha colpito tutta l’Africa australe e orientale e che vede a rischio fame 50milioni di persone. Ha toccato pesantemente anche lo Zimbabwe: bruciati tutti i raccolti e decimato 9mila capi di bestiame. Dopo i gravi danni del ciclone Idai del marzo scorso, si sono aggiunti quelli della siccità.
Sono ormai sette milioni, circa metà della popolazione, coloro che hanno bisogno di aiuti alimentari subito. Una siccità che mette in pericolo anche la portata di acqua delle Cascate Vittoria, sito turistico che porta valuta pregiata allo Zimbabwe.
Pare che si stia avvicinando la “tempesta perfetta”. Tutto mentre il Paese si avvia rapidamente alla paralisi e all’iperinflazione che ricorda gli anni bui dell’ “era Mugabe”.
Sandro Pintus
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