Cornelia I. Toelgyes
4 novembre 2019
Gli attacchi dei diversi gruppi terroristi attivi nel Sahel sono sempre più sfacciati e temerari, eppure c’era chi li dava per indeboliti fino a non poco tempo fa.
Sabato mattina ha perso la vita Ronan Pointeau, un soldato francese della missione Barkhane, attiva in tutto il Sahel con 4500 uomini, di cui oltre 1500 in Mali. Al passaggio della vettura blindata su cui viaggiava Pointeau è stata fatto detonare un ordigno esplosivo. “La vittima è deceduta a causa delle gravi ferite”, ha spiegato l’Eliseo in un comunicato.
L’attentato è stato rivendicato con un messaggio su Telegram dall’organizzazione Stato Islamico (EI): “I soldati del califfato hanno colpito un convoglio delle forze francesi nelle vicinanze di Indelimane nella regione di Ménaka (al confine con il Niger n.d.r.) facendo esplodere un ordigno…….” firmato: Province Afrique de l’Ouest.
Secondo Wassim Nasr, giornalista di France 24, specializzato in terrorismo, il soldato sarebbe la prima vittima ufficiale dell’esercito francese uccisa da miliziani dello Stato islamico nella regione. Florence Parly, ministro della Difesa di Parigi ha annunciato che si rencherà molto presto in Mali per fare il punto della situazione.
Ieri mattina le forze maliane hanno comunicato che sabato nel centro del Mali sono stati uccisi anche due loro soldati, mentre altre tre sono stati feriti.
Nella regione di Menaka, nei pressi con il confine con il Niger, venerdì 1° novembre c’è stata un’altra aggressione, la peggiore degli ultimi anni: nella base di Indelimane, in località Ansongosono, è stata brutalmente trucidata una cinquantina di militari maliani e un civile . Una ventina di militari che erano scappati al momento dell’attacco sono stati ritrovati dai terroristi, riportati al campo e ammazzati.
La dinamica dell’assalto non è ancora ben chiara, le relative indagini sono ancora in corso. Da una prima ricostruzione dei fatti sembra che intorno all’ora di pranzo un centinaio di uomini armati, suddivisi in tre gruppi, siano arrivati alla base in moto e con velivoli pick-up La violenza dell’aggressione, iniziata con tiri di mortaio, ha messo in grande difficoltà i soldati maliani. Secondo un portavoce del governo gli attaccanti sarebbero poi scappati in direzione del vicino Niger. Durante l’incursione sono state bruciate alcune vetture, Altre, invece, se le sono portate via i terroristi.
Anche questo attacco è stato rivendicato da EI, probabilmente si tratta del gruppo Stato Islamico nel Grande Sahara (acronimo EIGS, dal francese Etat islamique dans le Grand Sahara). Sabato è stato pubblicato un messaggio su Telegram simile a quello postato per rivendicare l’assassinio del militare francese: “I soldati del califfato hanno attaccato una base militare nel villaggio Indelimane, nella regione Ménaka, dove sono presenti soldati dell’esercito maliano”. Firmato: Province Afrique de l’Ouest .
La missione dell’ONU in Mali, MINUSMA, ha fortemente condannato gli ultimi fatti di sangue e ha affermato che è in corso la messa in sicurezza della zona con l’appoggio dei caschi blu.
Dopo il duplice massacro che si è consumato all’inizio di ottobre a Mondoro e Boulkessy, villaggi del Mali al confine con il Burkina Faso, durante il quale sono stati uccisi due civili, quaranta soldati maliani e una quindicina di jihadisti, l’esercito di Bamako il 18 ottobre aveva annunciato di aver “neutralizzato” almeno 50 terroristi. A tutt’oggi mancano all’appello 27 militari maliani, spariti in seguito all’aggressione del 30 settembre e 1° ottobre.
Il 17 ottobre sono stati invece uccisi 8 miliziani di EIGS nel corso di un’operazione condotta da Barkhane con l’appoggio di Mirages 2000 e elicotteri Tigre. E qualche giorno prima Bamako ha reso noto che la polizia, settore Brigade Recherche de la Gendarmerie, avrebbe arrestato a Gao, il terrorista Alpha Ag Ibrahim Mohamed Alias Jafar, accusato di essere il principale informatore di Abdel Hakim Al Sahraoui, leader di EIGS. Pare che Jafar abbia al suo attivo parecchie imboscate nei confronti di convogli dell’esercito maliano e i servizi di Bamako lo hanno accusato di essere il capo di un gruppo terrorista, incaricato di posare ordigni esplosivi su percorsi stradali strategici.
Malgrado le forze messe in campo dagli Stati del Sahel e i loro partner, l’insicurezza si inasprisce di giorno in giorno in tutta la regione e rischia di espandersi verso altri Paesi del golfo di Guinea.
Se nel 2012 le attività dei terroristi erano concentrate solamente nel nord del Mali e nel bacino del lago Ciad, da qualche anno le attività dei gruppi armati hanno colpito anche altre aree, come alcune zone nell’ovest del Niger, il centro del Mali e naturalmente il nord e l’est del Burkina Faso, dove alla fine di ottobre si è consumato nuovamente un’aggressione a opera dei jihadisti. Come spesso accade, uomini armati sono arrivati durante la notte nel comune di Pobé-Mengao, nella provincia di Soum, nel nord del Burkina Faso. Secondo le testimonianze raccolte, diversi negozi sarebbero stati saccheggiati e diversi abitanti sono stati sequestrati. La maggior parte dei residenti sono scappati verso Djibo, capoluogo della regione di Soum. La città ospita attualmente oltre 80.000 sfollati, scappati dai loro villaggi a causa delle incessanti incursioni jihadiste nell’area.
E un altro mortale attacco si è consumato nel Burkina Faso nell’ultimo fine settimana: Oumarou Dicko, deputato e sindaco di Djibo, è stato ucciso ieri, mentre si recava a Ouagadougou, la capitale della ex colonia francese. Insieme a lui hanno perso la vita anche gli altri occupanti della sua vettura, caduta in un’imboscata a Gaskindé, località all’uscita di Djibo. Dicko era anche vicepresidente del partito Congrès pour la démocratie et le progrès (CPD). L’incidente di ieri non è ancora stato rivendicato.
Nella stessa area sono stati rapiti anche due italiani. Dallo scorso dicembre non si hanno più notizie di Luca Tacchetto, giovane architetto originario di Vigonza, in provincia di Padova, e della sua compagna canadese Edith Blais. I due si stavano recando da Bobo-Dioulasso, città nella parte sudoccidentale del Burkina Faso, verso la capitale Ouagadougou. Mentre il sacerdote italiano, Pierluigi Maccalli è stato rapito nel settembre 2018 in Niger, a pochi chilometri dal confine con il Bukina Faso.
Negli ultimi due anni, in seguito all’estensione geografica delle zone colpite, sono in evidente aumento il numero delle vittime, sfollati e rifugiati.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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