Cornelia I. Toelgyes
20 ottobre 2019
Le inondazioni in Niger hanno costretto oltre 23.000 residenti a lasciare le loro case dall’inizio del mese. A causa delle piogge eccezionali cadute in queste settimane nella regione di Diffa, una zona semi-desertica nel nord-est della ex colonia francese, è esondato il fiume Komadougou Yobé, che alimenta il lago Ciad. Due villaggi sono completamente allagati e numerose risaie sono coperte dall’acqua. Un vero disastro e si prospetta una nuova crisi umanitaria in quest’area, già duramente provata dai continui attacchi dei jihadisti Boko Haram, molto attivi nella regione.
Secondo l’Ufficio degli affari umanitari dell’ONU (OCHA), nell’area colpita vengono ospitati oltre 120.000 rifugiati, tra loro 109.000 sono sfollati.
Da giugno a oggi sono morte 57 persone solo a causa delle inondazioni, 130.000 sono state colpite dalla calamità nel resto del Paese e centinaia di ettari di risaie sono andate distrutte. Questo Stato del Sahel, generalmente molto secco, negli ultimi anni a causa dei cambiamenti climatici deve fare i conti con inondazioni che colpiscono anche le zone desertiche.
Anche in questo periodo di calamità naturali i terroristi continuano incessantemente le loro attività. All’inizio di ottobre sono stati ammazzati due militari nigerini, mentre altri 5 sono stati feriti nel sud-est del Niger, al confine con la Nigeria, ma lontano dalla zona che solitamente subisce gli attacchi dei Boko Haram. E’ la seconda volta quest’anno che il dipartimento di Dogondoutchi viene colpito da gruppi armati terroristi.
La prima aggressione risale allo scorso febbraio; allora sono stati uccisi due gendarmi e un civile. Fino a allora la zona non era mai stata presa di mira dai jihadisti. Dogondoutchi è poco lontana dalla regione di Tahoua, confinante con il Mali, dove vige lo stato di emergenza da novembre 2015 (dopo l’attacco terrorista a un grande albergo di Bamako e rivendicato da due gruppi islamisti: Kātiba al-mulaththamīn “battaglione mascherato”, capeggiato da Muktar Belmuktar e al Qaeda nel Magreb islamico) e il Consiglio dei ministri maliano lo ha appena esteso per un altro anno, vista l’incessante attività dei vari gruppi armati e i conflitti interetnici, che hanno colpito il centro del Paese dall’inizio dell’anno.
Il Niger risente anche della chiusura delle frontiere con la Nigeria che si estendono su oltre 1.400 chilometri. Muhammadu Buhari, presidente dell’ex colonia britannica ha preso tale decisione alla fine di agosto per contrastare il contrabbando di riso verso il suo Paese. Una delle aree più colpite dal provvedimento è la regione di Maradi. L’omonima città è la terza della ex colonia francese e si è sviluppata come centro commerciale della rotta carovaniera che conduceva a Kanu in Nigeria. La regione è prevalentemente abitata da agricoltori di etnia Hausa, conosciuti anche come abili commercianti e uomini d’affari.
I commercianti locali sono allo stremo e non comprendono la ragione di tale chiusura. La situazione è davvero difficile, sia per i nigerini che per i nigeriani. Ma secondo il rappresentante del Consiglio dei trasportatori, il contrabbando si sarebbe accentuato dopo il severo provvedimento adottato da Abuja. Ora si utilizzano solamente i moto-taxi, che riescono a passare anche attraverso i campi. Il traffico illecito sarebbe più fiorente che mai anche grazie alla complicità dei doganieri nigeriani.
Recentemente la missione francese Barkhane ha “messo in letargo” la sua base di Madama con tanto di aeroporto, nel nord del Niger, in prossimità di Libia e Ciad. Madama era nata dal nulla nel 2014 per controllare i movimenti dei terroristi e per interventi speciali nella regione. Ora gli obiettivi della Francia sono cambiati, Barkhane preferisce concentrare forze e uomini in strategie convenzionali in diverse regioni per ottenere risultati immediati e visibili, volti alla messa in sicurezza di alcune aree e contribuire al loro sviluppo.
Madama si trova in una zona climatica estrema, temperature altissime, battuta da venti di sabbia e di conseguenza con alti costi di manutenzione. Nessun Paese europeo ha mostrato interesse a condividere l’insediamento miliare e le relative spese con i francesi. Comunque Parigi mantiene sempre attiva la base aerea più importante: è quella di Niamey, punto strategico per molte operazioni dei militari di Oltralpe.
Attualmente Barkhane è presente il tutto il Sahel con oltre 4.500 uomini, mentre la Germania ha una base aerea con 100 uomini a Niamey, per facilitare l’intervento delle proprie truppe in Mali. Il ministro della Difesa di Berlino, Annegret Kramp-Karrenbauer, si è recata la scorsa settimana nel Sahel, dove ha avuto colloqui anche con le autorità politiche del Niger e del Mali. Brigi Rafini, primo ministro nigerino, ha chiesto maggiori impegni per quanto riguarda la sicurezza nel Paese.
Il Niger, uno tra i Paesi più militarizzati dell’Africa, ospita anche contingenti statunitensi nell’ambito della missione AFRICOM e proprio a agosto United States Air Force (USAF) ha inaugurato la sua nuova base a Agadez, utilizzata anche per svolgere missioni di velivoli teleguidati (UAV) MQ9 Reaper armati e non armati nell’intera regione del Sahel, in particolare per interventi contro i terroristi. Gli USA dispongono di un’altro dispositivo a Niamey. Mentre i militari canadesi, nell’ambito della Missione Naberius, sono impegnati nell’addestramento delle forze di sicurezza locali.
Nello scenario militare internazionale nigerino non poteva mancare l’Italia, presente con la MISIN, acronimo per Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger. I nostri militari sono impegnati nella formazione e nell’addestramento delle Forze armate nigerine. A fine agosto si è concluso un corso di tecniche di combattimento in aree urbanizzate.
Poche settimane fa, in presenza di Issoufou Katambé, ministro della Difesa di Niamey e il Capo di Stato Maggiore della Difesa del Niger e Claudio Dei, a capo di MISIN e dell’ambasciatore italiano Marco Prencipe accreditato nel Paese, il ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale (MAECI) ha consegnato alle Forze armate nigerine 13 mezzi militari, 10 ambulanze e 3 autobotti.
Nel settembre 2018, in Niger vicino al confine con il Burkina Faso è stato rapito il sacerdote italiano Pierluigi Maccalli. Il governo di Niamey non ha rilasciato dichiarazioni sulle condizioni di Maccalli, perché, secondo quanto ha riferito lo stringer di Africa ExPress, Niamey non sarebbe coinvolta nelle trattative per la liberazione del nostro connazionale. Finora nessun raggruppamento terrorista attivo nell’area ha rivendicato il suo rapimento.
Un altro giovane italiano, Luca Tacchetto, architetto, originario di Vigonza, e la sua compagna canadese Edith Blais, sono spariti nel nulla nel dicembre dello scorso anno mentre si recavano a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, provenienti da Bobo-Dioulasso, città nella parte sudoccidentale del Paese.
Malgrado le forze messe in campo dagli Stati del Sahel e i loro partner, l’insicurezza si inasprisce di giorno in giorno in tutta la regione e rischia di espandersi verso altri Paesi del golfo di Guinea.
Se nel 2012 gli attacchi dei terroristi erano concentrati nel nord del Mali e nel bacino del lago Ciad, da qualche anno le attività dei gruppi armati hanno colpito anche altre aree, come alcune zone nell’ovest del Niger, il centro del Mali e il nord e l’est del Burkina Faso.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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