Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 14 ottobre 2019
Il Burkina Faso, uno tra i Paesi più poveri al mondo, da oltre 4 anni è nella morsa di sanguinose violenze; gli attacchi di gruppi armati – alcuni affiliati a al Qaeda, altri allo stato islamico (ISIS) – si susseguono quasi giornalmente.
Venerdì scorso sono state brutalmente ammazzate 16 persone mentre erano radunate in preghiera in una moschea a Markoye, nella fascia del Sahel, nel nord del Paese. Una fonte della sicurezza ha confermato questa ennesima tragedia e ha precisato che l’aggressione è avvenuta durante la preghiera della sera, tra le 19.00 e le 20.00 (ora locale). Tredici persone sarebbero morte all’istante, mentre tre poco dopo a causa delle gravi lesioni riportate, mentre le condizioni di altri due, scampati al massacro, sarebbero assai critiche.
La popolazione ora è in fuga, ha paura di nuove rappresaglie, malgrado la massiccia presenza dell’esercito, inviato a tragedia già consumata. Finora l’attacco non è stato ancora rivendicato da nessuno dei gruppi armati attivi nel’area; le autorità attribuiscono la responsabilità ai jihadisti, che già nel recente passato avevano preso di mira fedeli musulmani e imam.
All’inizio della settimana un gruppo di 8 uomini armati si è presentato a Tongomayel, nella provincia di Soum, nella regione del Sahel; ha chiesto alla popolazione di lasciare l’area entro le prossime 72 ore. Già a giugno un villaggio della zona ha subito un attacco jihadista, durante il quale sono morti 17 residenti. La popolazione non ha avuto scelta e 2000 e più persone si sono dati immediatamente alla fuga portando con sé solo pochi effetti personali. Ora Tongomayel è completamente vuota, vi regna un silenzio spettrale.
E lo scorso fine settimana sono stati uccisi una ventina di minatori nella zona di Arbinda, nella provincia di Soum. Secondo alcune fonti il sito aurifero impedirebbe un attacco alla città di Arbinda. Un residente della zona ha detto che i presunti jihadisti avrebbero attaccato anche un ponte sulla strada che collega Arbinda a Djibo, città che dista solo una quarantina di chilometri dal confine con il Mali.
L’UNHCR ritiene che dall’inizio della crisi mezzo milione di persone avrebbero dovuto lasciare le proprie case, i loro villaggi e attualmente è in corso una crisi umanitaria che colpirebbe 1,5 milioni di abitanti del Paese.
Nel frattempo, nella capitale Ouagadougou migliaia di persone hanno manifestato contro il terrorismo e la presenza delle basi straniere in Africa. La “giornata anti-imperialista” è stata coordinata da una decina di organizzazioni della società civile davanti alla Bourse du travail e non nelle vie del centro come inizialmente previsto, perchè le autorità della capitale avevano vietato l’evento per motivi di sicurezza.
Il portavoce delle organizzazioni civili, Gabin Korbéogo, ha denunciato la presenza di potenze straniere, sottolineando che con il pretesto del terrorismo controllano le immense ricchezze della regione.
“Il terrorismo è diventato il pretesto ideale per le grandi potenze mondiali per installare basi militari ovunque nelle varie regioni del Sahel. Gli eserciti di Francia, Germania, USA, Canada e altri ancora dicono di voler combattere il terrorismo, ma malgrado la presenza delle più forti unità armate del mondo, i gruppi sovversivi violenti continuano a uccidere Anzi, il loro potere è persino aumentato”, ha precisato il portavoce.
Nello specifico, la Francia è presente a Kamboinsin, nella periferia di Ouagadougou, con 200 uomini delle Forze speciali, supportati dalla missione Barkhane, operativa in tutto il Sahel con 4.500 militari. E proprio nelle ultime settimane i loro interventi sono stati specificamente richiesti dalle autorità bourkinabè, il cui esercito è mal equipaggiato, non addestrato a dovere e non sufficientemente strutturato. Il governo del Burkina Faso è generalmente reticente nel chiedere aiuto alla Francia, in questi casi però indispensabile per spalleggiare le proprie truppe, incapaci di arginare l’avanzamento dei jihadisti. E proprio per questo fatto Barkhane ha installato un nuovo campo a Gourma (Mali), a pochi chilometri dal confine con il Burkina Faso.
Negli ultimi mesi sembra che Ouagadougo voglia tornare sui propri passi. Il ministro degli esteri bourkinabè, Alpha Barry, ha ammesso: “Abbiamo problemi di sicurezza, la situazione sta peggiorando di giorno in giorno. C’è stata una presa di coscienza, abbiamo bisogno di aiuto”. Questo perchè non bisogna sottovalutare il forte rischio che il flagello terrorista possa espandersi verso gli altri Paesi del golfo di Guinea.
Il terrorismo difficilmente può essere sradicato solamente militarmente. E’ una guerra che coinvolge e colpisce soprattutto le persone del luogo e dunque è assolutamente indispensabile trovare soluzioni politiche e sociali per arginarlo..
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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