Sud Sudan: l’opposizione teme trucchi e non vuole formare il governo di coalizione

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Salva Kiir, presidente del Sud Sudan, a destra e Riek Machar, leader dell'opposizione e primo vice-presidente

Speciale per Africa Exress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 11 ottobre 2019

Rischia di saltare l’incontro previsto a Juba, capitale del Sud Sudan, il 12 novembre tra governo e opposizione per varare un nuovo governo di unione nazionale.  Puok Bot, portavoce del maggiore partito all’opposizione, The Sudan People’s Liberation Movement-in-Opposition, (del quale Riek Machar, ex vicepresidente, è il leader) ha fatto sapere lui e i suoi non parteciperanno alla cerimonia, in quanto diversi punti del trattato di pace sono ancora aperti. Un accordo per mettere fine a sei anni di conflitto è stato firmato l’anno scorso dal presidente Salva Kiir e il suo arcinemico Rieck Machar.

Salva Kiir, presidente del Sud Sudan, a destra e Riek Machar, leader dell’opposizione

“In particolare la questione della sicurezza, il numero delle province e i relativi confini e una modifica alla Costituzione sono i punti di maggior rilievo che devono essere risolti quanto prima, se vogliamo stabilizzare il Paese e avere un governo che sia davvero utile alla gente. La firma doveva già aver luogo sei mesi fa. I motivi sono molteplici, sopratutto l’assenza di volontà politica e la mancanza di fondi per finanziare i diversi progetti per la realizzazione del cambiamento. Il governo aveva promesso di sbloccare il denaro necessario, ma così non è stato; ciò significa che preferisce mantenere lo status quo attuale. L’accordo che abbiamo firmato non è perfetto, ma come in tutti negoziati è necessario fare delle concessioni, ne eravamo consapevoli tutti quando le parti hanno siglato il trattato di pace. Dobbiamo davvero mettere da parte le nostre differenze politiche per il bene del Paese”, ha precisato Puok Bot.

Insomma Machar tiene nuovamente tutti con il fiato sospeso. Secondo lui le condizioni di sicurezza sono insufficienti, la creazione di un esercito unificato è in ritardo rispetto alla tabella di marcia prevista, per non parlare della questione degli Stati federali.

E c’è chi suppone che Kiir voglia manipolare le frontiere tradizionali in favore della sua etnia, i dinka. Una commissione avrebbe dovuto studiare e analizzare dettagliatamente questo problema, ma i lavori sono bloccati. E, secondo Alfred Youhanis Magok, uno dei portavoce di Machar, bisogna trovare soluzioni per gli argomenti ancora non definiti. Solo allora il leader di SPLM-IO tornerà nel Paese.

Alcuni analisti non sono assolutamente sorpresi di questi risvolti; infatti ritengono che la volontà politica sia ancora molto fragile e che le condizioni di sicurezza siano assolutamente insufficienti.

Il conflitto è cominciato quando il presidente Salva Kiir Mayardit, di etnia dinka, ha accusato il suo vice Riek Marchar, un nuer, di aver complottato contro di lui, tentando un colpo di Stato. Sono così cominciati i combattimenti tra le forze governative e quelle degli insorti fedeli a Machar. I primi scontri si sono verificati il 15 dicembre 2013 nelle strade di Juba, la capitale del Paese, ma ben presto hanno raggiunto anche Bor e Bentiu. Vecchi rancori politici ed etnici mai risolti, non fanno fatto che alimentare questo conflitto.

Donna sud sudanese

Secondo un rapporto pubblicato un anno fa da London School of Hygiene and Tropical Medicine e finanziato dal Dipartimento di Stato americano durante gli anni di conflitto sarebbero morte 383.000 persone: la metà tra loro sono stati uccisi durante i contrasti su base etnica in tutto il Paese, mentre l’altra metà è morta a causa di malattie, fame e altre cause che si sono esacerbate per le continue violenze. Oltre 2,5 milioni di persone hanno dovuto lasciare le loro case, i loro villaggi.

Il numero delle persone ammazzate risulta ben più elevato di quello stimato precedentemente dall’ONU. La tragedia di un conflitto che si consuma lentamente, giorno per giorno, nella quasi indifferenza della comunità internazionale.

E nel suo rapporto pubblicato il 7 ottobre 2019, Amnesty International accusa il governo di Juba di impunità per gravi violazioni dei diritti umani, crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi durante il conflitto.

“Da Juba a Malakal, Wau, Bentiu, ovunque nel Paese sono stati commessi crimini mostruosi contro i civili; a volte il governo sud sudanese ha istituito commissioni investigative, i cui risultati, se mai hanno davvero visto la luce del sole, sono stati raramente presi in considerazione, visto che molte atrocità sono state commesse anche dalle forze governative”, ha evidenziato Joan Nyanyuki, direttore di Amnesty International per l’Africa dell’Est, il Corno d’Africa e i Grandi Laghi. E ha aggiunto: “Il governo non punisce e non consegna alla giustizia i responsabili, colpevoli di violazioni del diritto penale internazionale; crimini commessi da tutti gli attori del conflitto, forze governative e gruppi armati dell’opposizione”.

Nella sua relazione Amnesty chiede che l’Unione Africana istituisca uno speciale Tribunale per il Sud Sudan, una Corte imparziale che possa finalmente dare giustizia alle innumerevoli vittime del conflitto tutt’ora in atto.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotolgyes

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