AFRICA

FMI: in Zimbabwe inflazione al 300 per cento, metà della popolazione alla fame

Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
2 ottobre 2019

In Zimbabwe l’iperinflazione dell’era Mugabe è dietro l’angolo. Lo dice il Fondo Monetario Internazionale dove l’’aumento generalizzato e prolungato dei prezzi su base annua, ad agosto, ha raggiunto il 300 per cento. L’ultimo bollettino FMI ha rilevato un pesante deprezzamento del dollaro zimbabwiano: al cambio ne occorrono 16,5 per un dollaro USA.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso dell’economia dell’ex colonia britannica è stata causata dal ciclone Idai nel marzo scorso. I danni dell’area che confina con il Mozambico hanno impoverito maggiormente la popolazione distruggendo interi villaggi e i raccolti che ne permettevano la sopravvivenza. Il ciclone, dopo aver devastato il Mozambico, in Zimbabwe ha lasciato 300 morti.

Valuta dello Zimbabwe introdotte a giugno dal governo. Oggi inflazione salita al 300 per cento

Secondo il Fondo monetario,  “8,5 milioni di persone, la metà della popolazione, hanno condizioni sociali che si sono deteriorate rapidamente e soffrono di insicurezza alimentare”. Oltre all’estrema povertà della popolazione che ha urgente bisogno di aiuti alimentari, c’è carenza di carburante e l’elettricità viene erogata poche ore al giorno.

Una situazione che mette in difficoltà anche la capitale, Harare: potrebbe rimanere senza acqua potabile per le difficoltà finanziarie dell’unico impianto di depurazione. Lo stato attuale dell’economia ha incrementato il mercato nero della valuta e il governo, a giugno, per evitare l’ iperinflazione, ha vietato transazioni in valuta estera.

Banconote emesse dalla Banca dello Zimbabwe nel 2008 durante l’iperinflazione

Dieci anni dopo averla abbandonata per il dollaro americano e altre valute straniere, lo Zimbabwe ha reintrodotto la moneta nazionale. Un metodo che il presidente Emmerson Mnangagwa ha tentato per rassicurare la nazione ma che si è dimostrato fallimentare.

Bambini in coda per mangiare. Inflazione in Zimbabwe sta causando una crisi alimentare

Mnangagwa, per rianimare l’agricoltura e l’economia aveva perfino proposto di restituire le terre ai bianchi per 99 anni. Un progetto fallito perché, non essendo più proprietari delle terre, gli agricoltori di origine europea non potevano accedere ai prestiti bancari. Sono passati due anni e la politica del presidente oggi appare un fallimento. Ora che la situazione sta peggiorando e lo Zimbabwe, una volta considerato il granaio dell’Africa, rischia il collasso.

Il golpe soft senza spargimento di sangue del novembre 2017, che aveva deposto il dittatore-presidente, Robert Mugabe, sembrava l’unica soluzione per voltare pagina. Mnangagwa, come nuovo presidente, aveva promesso un nuovo corso e la rinascita dell’economia.

Compito non facile dopo il disastro dell’era Mugabe che, da padre della patria, ne era diventato il padre-padrone governando con il pugno di ferro. La seconda moglie, la spendacciona chiamata “Gucci Grace”, aveva contribuito a dilapidare le ricchezze dello Zimbabwe che considerava come una sua proprietà. Il vecchio eroe, diventato dittatore, aveva governato il Paese ininterrottamente per 37 anni. Lo scorso 6 settembre è morto di cancro, a 95 anni, solo, in un ospedale di Singapore.

L’altro ieri il presidente ha detto al suo popolo: “Vi chiedo tempo e pazienza”. Difficile averne con la pancia vuota.

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com
@sand_pin

Crediti foto:
– Banconote zimbabwiane del 2018
By en:User:Discott – the English language Wikipedia (log), Public Domain, Linkhttps://www.africa-express.info/2018/08/29/lo-zimbabwe-di-mnangagwa-speranza-dellinizio-di-una-nuova-era/

 

 

 

Sandro Pintus

Giornalista dal 1979, ha iniziato l'attività con Paese Sera. Negli anni '80/'90 in Africa Australe con base in Mozambico e in seguito in Australia e in missioni in Medio Oriente e Balcani. Ha lavorato per varie ong, collaborato con La Repubblica, La Nazione, L'Universo, L'Unione Sarda e altre testate, agenzie e vari uffici stampa. Ha collaborato anche con UNHCR, FAO, WFP e OMS-Hedip.

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