Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 25 settembre 2019
Grande sostegno della società civile marocchina per Hajar Raissouni, la giovane giornalista in carcere dal 31 agosto con l’accusa di aborto clandestino e atti contro la morale pubblica. Attualmente la ragazza si trova nella prigione di Al Arjat, nei pressi di Salé, città non lontana dalla capitale Rabat.
“Noi, cittadine marocchine, dichiariamo di essere fuori legge”. Comincia così un manifesto di solidarietà, pubblicato da diversi quotidiani locali e dal francese Le Monde. In un batter d’occhio l’hanno sottoscritto 470 cittadini marocchini (tra uomini e donne) e oggi ha raggiunto oltre cinquemila adesioni da persone di tutti ceti sociali: casalinghe, studentesse, professoresse, funzionari di alto livello, professioniste. “Persino donne conservatrici che indossano il velo, pur dichiarando di essere contrarie all’aborto e alle relazioni extra-coniugali, hanno espresso solidarietà, perchè non accettano l’intromissione nella vita privata altrui”, ha sottolineato la scrittrice Sonia Terrab che assieme a Laila Slassi, consigliere giuridico a Casablanca e militante femminista, ha redatto il testo dell’appello.
Il manifesto e le firme raccolte in calce hanno provocato finalmente un nuovo dibattito pubblico sulla libertà individuale, che non rappresenta né un lusso, tanto meno un favore, ma una necessità. Molti cittadini comuni oltre a personalità di spicco hanno aderito all’iniziativa per solidarietà, altri, invece, perchè ritengono che il proprio corpo non appartenga né allo Stato, né alla società.
La 28enne Hajar Raissouni, giornalista del quotidiano in lingua araba Akhbar Al-Yaoum, è stata arrestata il 31 agosto davanti a uno studio medico. Lo stesso giorno sono scattate le manette anche per il compagno sudanese, il medico che l’ha curata, la segretaria dello studio e un’infermiera.
Secondo l’articolo 453 del codice penale del Regno, l’accusata rischia ora una condanna da sei mesi a due anni. La legge del Marocco vieta l’aborto – a meno che la vita della donna non sia in grave pericolo – e le relazioni extra-coniugali. La donna racconta di essere stata fermata da ben dodici poliziotti e di essere stata poi costretta a sottoporsi ad un esame medico, durato 20 minuti e senza alcuna anestesia. In seguito sarebbe stata sentita dagli agenti, che le hanno chiesto anche dettagli sulla famiglia, il lavoro e sul suo supposto (dalle autorità) aborto.
Classe 1991, Hajar è nata a Larache, nel Nord del Marocco, da una famiglia conservatrice, indossa l’hijab. E’ la nipote di Souleymane Raissouni, editorialista piuttosto in vista molto critico nei confronti del governo, e di Ahmed Raissouni, intellettuale e ideologo islamista ultra-conservatore, molto apprezzato nel mondo arabo con le sue prese di posizione piuttosto ostili nei confronti del potere della monarchia. Infine, suo cugino Youssef è segretario generale dell’associazione dei diritti dell’uomo in Marocco.
Non era un segreto per nessuno che era innamorata e aveva una relazione con Rifaat al-Amin, arrestato insieme a lei il 31 agosto. Il quarantenne sudanese, insegnante di diritti umani nel mondo arabo per le ONG Geneva Institute for Human Rights (GIHR) et Swiss Academy for Human Rights (SAHR), è intervenuto più volte sulle violenze alle quale sono soggette le donne nel Paese. Dai loro amici comuni viene descritto come “uomo straordinario e estremamente educato” . Il loro matrimonio era previsto proprio per quest’autunno, anche se gli avvocati sostengono che i due sarebbero già sposati, ma che il matrimonio non sia stato ancora registrato in Marocco per omessa formalizzazione degli atti da parte del consolato sudanese.
Secondo quanto riportato dal quotidiano Le Monde, si stima che nel 2018 in Marocco siano state perseguitate 14.503 persone per relazioni extra-coniugali; ogni giorno vengono effettuati tra 600 e 800 aborti. Tra questi i due terzi vengono praticati in modo illegale da medici, il restante terzo da fattucchiere o/e erboriste. Interruzioni di gravidanze vengono eseguite in luoghi clandestini, con anestesia insufficiente e in assenza delle più elementari norme di igiene, con conseguenze spesso traumatiche dal punto di vista fisico nonchè psichico.
Dopo l’arresto del 31 agosto, il 5 settembre si è aperto il processo contro la giornalista presso il Tribunale di primo grado a Rabat. Solo allora si è scoperto che la Raissouni aveva già passato alcuni giorni dietro le sbarre. Il sostegno della società civile non si è fatto attendere.
Lunedì scorso si è svolta una nuova udienza contro la giovane giornalista marocchina, il suo fidanzato/marito, il medico che avrebbe interrotto la gravidanza, la segretaria e l’infermiera, naturalmente a porte chiuse (i giornalisti non possono assistere ai dibattiti in aula, prassi comune nel Paese). Davanti ai giudici la Raissouni ha negato di essersi sottoposta ad un aborto, ha affermato di essere stata curata per una grave emorragia interna. La prossima udienza è stata fissata per il 30 settembre.
Gli avvocati della Raissouni hanno chiesto l’assoluzione per la loro assistita.
Chafik Chraïbi, ginecologo e militante in prima linea per la legalizzazione dell’aborto, ha sottolineato che il caso della giornalista rilancia finalmente il dibattito sulle libertà individuali delle donne marocchine e spera che in tal modo si acceleri la battaglia progressista nel Paese.
Cornelia I. Toelgyes
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