Lo spionaggio somalo: “L’Italia non ha chiesto il nostro aiuto”. Di Maio invitato a Mogadiscio
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Speciale per Africa ExPress Massimo A. Alberizzi
20 settembre 2019
La rivelazione arriva direttamente da Mogadiscio, capitale della Somalia. Un alto funzionario dei servizi segreti locali, sostiene in una conversazione con Africa ExPress: “L’intelligence italiana non si è mai messa in contatto con noi. Non ci ha mai coinvolto e non ci ha mai chiesto informazioni su Silvia Romano”. Secondo una notizia, filtrata tempo fa dalla procura di Roma, la volontaria, che il 13 settembre ha compiuto 24 anni, subito dopo il suo rapimento sarebbe stata portata nell’ex colonia italiana. Mogadiscio aveva però smentito: “Silvia non è qua”, c’era scritto in un comunicato.
Alla domanda se i servizi somali hanno notizie dalla ventiquattrenne italiana, il nostro interlocutore risponde in un modo vago. In realtà il governo somalo non ha il controllo di tutto il suo territorio, dove comandano invece su una larga parte gli shebab, gli integralisti legati ad Al Qaeda, e poi amministrazioni locali indipendenti, naturalmente tutti con una milizia propria. Le informazioni che arrivano sono assai inaccurate e parziali.
In particolare il Jubaland, la regione al confine con il Kenya, è controllato da un’amministrazione locale che non è proprio in sintonia con il governo federale somalo, accusato, l’altro ieri, di stare pianificando un’invasione per destabilizzare Chisimaio, la capitale del Jubaland. Un mese fa, per esempio, l’autorità aeroportuale nazionale ha vietato i voli diretti verso Chisimaio, sia locali che provenienti dall’estero, che ora devono passare per la capitale federale.
In mare, di fronte al Jubaland, sono stati trovati importanti giacimenti di petrolio e di gas che fanno gola un po’ a tutti. Al Kenya, per esempio, che aveva già avviato trattative per affidare le concessioni di sfruttamento all’ENI e alla francese Total. Silvia potrebbe essere tenuta prigioniera in quella zona, dove però le milizie islamiste shebab non sono presenti in forze. Potrebbe quindi essere nelle mani di gruppi criminali in grado così di esercitare pressioni sul governo di Roma. Tutte ipotesi prive di qualsiasi riscontro.
Da Mogadiscio un altro alto funzionario del governo e dei servizi di sicurezza avanza l’ipotesi che Silvia sia prigioniera a Belet Huein o a Garba Harre, città a nord ovest di Mogadiscio, la seconda vicino al confine con il Kenya. Non fornisce però né prove, né indicazioni precise, necessarie in questi casi per verificare le informazioni.
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Qui l’intervento di Massimo Alberizzi a Radio 24, il 20 settembre 2019
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E ieri dal governo somalo arriva pure un’altra soffiata: “Due giorni fa abbiano invitato il vostro nuovo ministro degli Esteri, Luigi di Maio, a venire qui in visita ufficiale. Non ha ancora risposto”.
L’amministrazione dell’ex colonia italiana ha bisogno di aiuto che si potrebbe elargire in cambio di una sua completa collaborazione. La rete dei servizi somali pochi anni dopo l’indipendenza, che fu raggiunta nel 1960, fu creata e organizzata dallo spionaggio italiano.
Fu smantellata completamente alla fine degli anni ’90, quando non vennero più pagate le antenne e le decine di informatori che erano disseminati sul campo.
Nessuno più si curò di mantenerla in vita e pian piano è appassita. In quel periodo un paio di confidenti, tra cui un signore che in codice veniva chiamato “L’avvocato”, vennero da me lamentandosi di essere stati abbandonati dall’Italia. Mi raccontarono la loro storia, di come erano stati reclutati, e alla fine mi chiesero se potevo farli assumere dal Corriere della Sera, giornale per il quale allora lavoravo.
Ma la rete comunque non è morta, potremmo definirla in sonno. E quindi disponibile a lavorare per cercare di capire cos’è successo a Silvia.