Franco Nofori
13 settembre 2019
Mentre alcune Nazioni africane, sbalordiscono il mondo, rifiutando di riaccogliere i propri cittadini che hanno tentato l’avventura europea, il Ruanda impartisce all’intero continente una lezione di umana solidarietà, dicendosi pronta ad accogliere un significativo numero di migranti africani rinchiusi nell’inferno dei centri di detenzione libici. L’annuncio di questa decisione è stato dato lo scorso martedì come frutto dell’accordo raggiunto tra l’agenzia ONU per i rifugiati, UNHCR e l’African Union. Accordo cui il Ruanda ha immediatamente aderito.
A turbare le coscienze del governo e del popolo ruandese, è stato un servizio diffuso nel novembre 2017 dalla rete americana CNN, che oltre ai maltrattamenti cui i migranti erano soggetti, mostrava anche come alcuni di questi fossero offerti – nel corso di aste appositamente organizzate – al miglior offerente come schiavi. Già allora il Ruanda, si era detto pronto ad accogliere un certo numero di questi migranti. Disponibilità che è stata ora consacrata dall’accordo menzionato. Del resto, l’esistenza di questi veri e propri lager, allestiti in territorio libico, non può più essere ignorata dal mondo, poiché, stando alle stime dell’UNHCR, sarebbero oltre 500 mila i migranti africani che languono in questi centri di detenzione, totalmente privi della libertà e dei più elementari diritti.
Già nella prossima settimana, un volo organizzato dalle Nazioni Unite, sbarcherà in Ruanda 500 detenuti africani evacuati dall’inferno libico. In prevalenza si tratterà di bambini e di persone più vulnerabili, soprattutto originari del Corno d’Africa. Il governo di Paul Kagame è stato accusato dai politici di alcuni Stati africani, di aver proclamato la disponibilità all’accoglienza, perché generosamente retribuito dalle Nazioni Unite, accusa che è stata categoricamente smentita dal ministro ruandese per i rifugiati, Germaine Kamayirese, che ha detto: “E’ un’accusa malevola e infondata. La nostra decisione si basa esclusivamente su sentimenti di umana solidarietà. Gli stessi che ogni africano dovrebbe provare di fronte alla sofferenza di questi sventurati fratelli”.
Che si tratti di genuina sofferenza l’ha più volte attestato Amnesty International, descrivendo i centri di detenzione libici come luoghi “orrifici e inumani”, in cui i malcapitati migranti si trovano soggetti a una routine di torture, stupri, malnutrizione e diffusione di malattie infettive, come la tubercolosi, favorite dall’assenza delle più elementari norme igieniche. L’UNHCR, stima che, allo stato, vi siano già in Libia quasi cinquemila persone, nell’impellente necessità di essere evacuate dai campi di detenzione per ricevere immediate cure mediche che salvino loro la vita o non pregiudichino irrimediabilmente la loro integrità fisica.
Una volta in territorio Ruandese, i migranti saranno gestiti dalle Nazioni Unite che si adopereranno per ridistribuirli in altri Paesi africani, ma una parte di questi potranno anche restare in Ruanda ed essere inseriti nella società locale. Altri ancora (se lo vorranno) potranno essere rimpatriati nei loro Paesi d’origine, cosa che, però, appare piuttosto improbabile, giacché le provenienze più significative riguardano Somalia, Sud Sudan ed Eritrea: i primi due sono Paesi in cui infuria la guerra civile, il terzo è governato da una dittatura disumana. L’obiettivo dell’accordo in argomento, è comunque quello di portare alla totale eliminazioni dei centri di detenzione esistenti in Libia che, da parte sua, ha già annunciato lo smantellamento di tre siti: Misurata, Tajoura e Khoms. Tuttavia, qualora tutti questi centri fossero chiusi, molti osservatori internazionali, paventano un sovraffollamento ancora più deleterio, se non si troverà il modo di fermare, o almeno ridurre, l’imponente e inarrestabile flusso migratorio verso la Libia, ormai considerata una piattaforma per accedere all’Europa.
Con questa iniziativa, il Ruanda si riconferma come il faro continentale dell’emancipazione africana. Situazione, questa che imbarazza alquanto i commentatori occidentali, sempre in bilico tra l’apprezzamento e la critica. Il presidente Paul Kagame, ha indubbiamente portato il proprio popolo a un benessere che fino a pochi anni fa era difficilmente ipotizzabile, ma non tutti i valori democratici, sono rispettati e l’opposizione al governo, così come il dissenso, sono ancora energicamente avversati. D’altra parte, la maggioranza del popolo ruandese ama il proprio presidente e gli è grato per averlo risollevato da uno dei più tragici stermini della storia contemporanea. In queste condizioni chi può dire quale sia la scelta più assennata?
Franco Nofori
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