Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 11 settembre 2019
Abdallah Hamdok, il nuovo primo ministro del Sudan, ha preso tempo per scegliere i componenti del nuovo governo, nominato sulla base dell’accordo politico siglato tra i militari e i civili (Alleanza Freedom and Change) lo scorso 17 luglio.
Giovedì scorso ha finalmente annunciato la composizione del nuovo esecutivo, composto da 18 membri, tra loro anche 4 signore. Asmaa Abdallah è primo ministro degli Esteri donna del Paese, mentre Ibrahim Elbadawi, ex economista della Banca Mondiale, è a capo del ministero delle Finanze, Madani Abbas Madani, leader della coalizione civile che ha guidato i negoziati con i militari, ricopre ora l’incarico di ministro dell’Industria e del Commercio.
Hamdok, ex diplomatico delle Nazioni Unite, oggi a capo del governo di transizione, ha promesso che tra le priorità dell’esecutivo sarà quella di mettere fine ai conflitti interni e di costruire una pace durevole. Infatti, secondo l’accordo politico, nei prossimi sei mesi dovranno essere formulate nuove politiche in collaborazione con tutti i gruppi armati nelle regioni del Darfur, Blue Nile e South Kordofan. Quattro gruppi del Darfur occidentale hanno già promesso di collaborare con il governo di transizione.
Abdel Fattah al-Burhan, ex presidente del Consiglio Militare di Transizione (TMC), è stato nominato a capo del Consiglio Supremo, composto da 11 membri, che resterà in carica per poco più di tre anni, sarà incaricato di gestire le sorti il Paese. Per i primi 21 mesi il Consiglio sarà guidato da un militare, mentre i rimanenti 18 da un civile.
Non sarà semplice traghettare il Sudan, la sua popolazione, verso le prossime elezioni democratiche, verso un nuovo futuro. Oltre a riportare stabilità e pace, l’esecutivo dovrà rimboccarsi le maniche per combattere la galoppante corruzione e sollevare il Paese dalla grave crisi economica. Omar al Bashir, ex presidente del Sudan e deposto lo scorso 11 aprile dopo un colpo di Stato militare ha lasciato solo macerie. Ha governato con pugno di ferro oltre 30 anni e ora è sotto processo a Khartoum perchè è accusato del possesso di 90 milioni di dollari avuti dalla casa reale saudita. Inoltre sul vecchio dittatore pende un mandato di cattura internazionale, spiccato dalla Corte penale internazionale dell’Aja per crimini di guerra commessi in Darfur. Sono in molti a chiedere la sua estradizione.
Rashid Saeed, un esponente di Sudanese Professional Association ha chiesto al nuovo governo di ritirare le truppe sudanesi dallo Yemen. Dal marzo del 2015 nello Yemen si consuma un sanguinoso conflitto interno, che vede contrapposto due fazioni: gli huti, un movimento religioso e politico sciita, che appoggiano il presidente destituito, deceduto lo scorso anno, Ali Abd Allah Ṣaleḥ da un lato e le forze del presidente sunnita Mansur Hadi, rovesciato dagli huti con un colpo di Stato nel gennaio 2015. La coalizione saudita entra nel conflitto nel marzo 2015 a sostegno di Hadi, che a tutt’oggi è riconosciuto dalla comunità internazionale come capo di Stato.
Tra i Paesi che sostengono la coalizione saudita, c’è anche il Sudan con le Rapid Support Forces. Dopo la visita del deposto presidente sudanese Omar al Bashir in Russia alla fine dello scorso del 2017, circolava voce che Khartoum avrebbe ritirato i suoi uomini dalla guerra in Yemen. Ma non è stato così, malgrado le forti perdite subite. Ora i sauditi sono accusati di aver reclutato in Sudan mercenari e bambini soldato, per farli combattere al loro fianco nello Yemen.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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