Isaias Afewerki, presidente dell'Eritrea
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 4 settembre 2019
Era nell’aria da tempo. Dopo la confisca di 29 strutture tra ospedali, cliniche e presidi medici della Chiesa cattolica, ora il regime fascista al potere in Eritrea vuole appropriarsi anche delle loro scuole, frequentate per lo più da figli di famiglie disagiate.
Alcune gruppi cristiani e musulmani hanno spiegato alla BBC che agenti della sicurezza si sarebbero già presentati alla St Joseph’s School di Keren, gestita da lasalliani (Fratelli delle scuole cristiane, ordine religioso fondato da Giovan Battista La Sallle).
Finora la dittatura eritrea – sempre secondo le fonti della BBC – avrebbe già confiscato sette scuole in varie località del Paese. Anche lo stinger di Africa ExPress ha detto di essere a conoscenza di istituti scolastici cattolici posti sotto sequestro in tre località: a Keren, Massawa e Adi Ugri (Mendefera): “Forse, almeno per il momento, le autorità di Asmara non toccheranno le scuole elementari”, ha commentato.
Già domenica l’emittente australiana SBS, che trasmette anche programmi in tigrino, aveva annunciato l’imminente chiusura delle scuole cattoliche nella ex colonia italiana.
Asmara ha giustificato anche questa volta la sua rappresaglia con l’applicazione di una normativa del 1995 che limita le attività delle istituzioni religiose.
Malgrado la pace siglata con l’Etiopia, l’arcinemico storico, poco più di un anno fa, nel Paese non è cambiato nulla. Le auspicate riforme non sono state varate. Ora il dittatore ha preso nuovamente di mira la Chiesa cattolica ponendo i sigilli alle scuole, dove i religiosi cercano di dare un’istruzione ai figli di famiglie povere. Ma si sa, è risaputo, giovani istruiti, che hanno ricevuto un’educazione libera, volta a sviluppare uno spirito critico, non piacciono alle dittature.
I vescovi eritrei avevano già espresso il loro rammarico dopo la chiusura degli ospedali e in una lettera aperta indirizzata al presidente Isais Afewerki e al suo governo avevano ribadito ciò che avevano già detto nel 1995. Contribuire allo sviluppo del Paese e al benessere della gente fa parte dei compiti della Chiesa cattolica perchè la missione pastorale va anche tradotta in fatti concreti.
Nella loro missiva i prelati delle diocesi eritree avevano fatto anche riferimento al regime di terrore sotto Menghistu Hailè Mariàm, quando il Derg (la giunta militare) aveva confiscato con la forza molti loro beni, come conventi, scuole, centri medici.
Sembra essere tornati indietro nel tempo. Anche allora la gente soffriva. Ma a infliggere le sofferenza era uno straniero, oggi è un eritreo che aveva alimentato speranze di libertà e democrazia e invece si è trasformato in feroce dittatore.
E’ evidente che la pace con l’Etiopia non ha frenato le continue violazioni dei diritti umani nella ex colonia italiana. Se ne è parlato anche durante 41esima sessione del Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni Unite, che si è svolta dal 24 giugno al 12 luglio a Ginevra. E nel suo rapporto Daniela Kravetz, inviata speciale delle Nazioni Unite per l’Eritrea, ha parlato anche delle persecuzioni religiose tutt’ora in atto nel Paese, della chiusura forzata di ospedali e cliniche cattoliche, sparsi su tutto il territorio nazionale, in particolare nelle zone rurali, dove spesso erano l’unico punto di riferimento per la popolazione.
Secondo il sito dell’osservatorio cristiano Word Watch Monitor, da giugno a oggi il regime eritreo avrebbe arrestato 150 cristiani, tra loro anche donne e bambini e cinque monaci ortodossi del monastero di Bizen, la comunità di religiosi che si era ribellata contro l’interferenza del governo nell’ambito religioso.
Il 16 agosto sono stati fermati anche sei dipendenti pubblici cristiani, ai quali il giudice ha chiesto di rinunciare alla loro fede. Davanti al loro rifiuto, il magistrato si è riservato di prendere eventuali decisioni future.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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