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Massimo A. Alberizzi
30 agosto 2019
Tolto il diritto di uscire dal carcere su cauzione per i tre accusati del rapimento di Silvia Romano, Abdulla Gababa Wario, Moses Lwali Chembe e Ibrahim Adhan Omar. Il primo era già dietro le sbarre (si fa per dire: il penitenziario di Malindi è un lager a cielo aperto che dovrebbe fare sciogliere le lingue più incollate).
La proposta di negare il beneficio del deposito di garanzia è stata avanzata durante l’udienza che si è tenuta al tribunale di Malindi ieri, dalla procuratrice Alice Mathangani e dall’investigatore della polizia di Malindi, Peter Muirithi, in ragione della pericolosità dei tre imputati. La sospensione della cauzione è stata temporaneamente accettata. I legali dei due imputati hanno presentato ricorso e così il 2 settembre si terrà un’ulteriore udienza per stabilire se sia corretta la decisione di negare la scarcerazione su deposito. Dovrebbe esserlo perché, tra l’altro, la procuratrice nelle sue richieste è stata ancora più pesante: ha proposto alla giudice, Julie Oseko, di cambiare anche il capo di imputazione per gli accusati, Moses, Gababa e Ibrahim: sequestro di persona per fini di terrorismo. Un’incriminazione per la quale il diritto alla cauzione non è contemplato.
Il 2 settembre si dovrebbero decidere anche le date delle prossime udienze di merito e su quello la giudice Oseko è stata durissima intimando agli avvocati: ”Dovete arrivare con tutti i documenti pronti: voglio fare in fretta. Niente cincischiamenti o perdite di tempo”.
Non è estraneo alla decisione di togliere il diritto alla cauzione il fatto che a pagarla per Ibrahim Adhan Omar sia stato Juma Seleiman Lomba, un oscuro sarto che vive nella foresta a oltre trecento chilometri da Malindi, nel villaggio di Makongeni, distretto di Kwale, nei pressi di Mombasa. Particolari che generano parecchi interrogativi. Per altro anche chi ha pagato la somma dell’equivalente di 26 mila euro per Mose Lwali Chembe sono un sedicente nonno che dichiara di guadagnare 50 euro al mese e un altrettanto sedicente zio da cento euro.
Ma non solo. Non è chiaro perché a Ibrahim, arrestato a Garissa e trovato in possesso di armi da fuoco, che si sospetta siano state usate durante l’azione per rapire Silvia, sia stata chiesta una cauzione di soli 500 mila scellini (più o meno 4.400 euro), mentre a Moses e a Gababa, accusati solo di aver comprato le motociclette a cavallo delle quali quel maledetto 20 novembre il commando è arrivato a Chakama (il villaggio dove Silvia è stata rapita), sono stati chiesti, appunto, 3 milioni di scellini, cioè 26 mila euro circa.
Particolari che erano già stati segnalati da Africa ExPress e dal Fatto Quotidiano agli inquirenti kenioti per attirarne l’attenzione. Secondo fonti assolutamente attendibili una forte pressione sulle decisioni della Corte di Malindi sono state esercitate anche dalle autorità italiane.
Per altro secondo le indagini sul sequestro di Silvia, coordinate dal sostituto procuratore di Roma, Sergio Colaiocco, quando a metà luglio gli investigatori kenioti sono giunti a Roma per colloqui con i loro colleghi italiani hanno raccontato che probabilmente la ventitreenne milanese è stata portata in Somalia.
Se subito dopo il sequestro questa ipotesi era stata scartata, giacché troppo pericolosa per i sequestratori e per l’ostaggio, e perché le fonti più disparate sentite nell’ex colonia italiana (compresi gli investigatori della missione dell’Unione Africana) avevano negato la presenza della ragazza, ora prendono un minimo di consistenza. Ma è aperta un’altra pista: che Silvia sia stata portata in Tanzania. Un’ipotesi che è stata avanzata proprio dopo aver analizzato il documento che indica nel sarto di Makongeni, centro molto vicino ai confini con la Tanzania, l’uomo che ha pagato la cauzione per Ibrahim. Per altro uno stringer del Fatto Quotidiano e di Africa ExPress si è recato sul posto a cercare il signor Juma Selman Lomba: in quel villaggio di poche anime, nessuno lo conosce!
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi
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