Dal Nostro Corrispondente Sportivo
Costantino Muscau
Milano, 29 agosto 2019
“Il calcio mi ha salvato dalla depressione e ha allontanato i pensieri oscuri della guerra, ora voglio essere di aiuto a chi col pallone può riscattarsi”.
Per 13 anni, difendendo il Liverpool, ha chiuso la sua porta agli attaccanti avversari. E ne sa qualche cosa la Roma, che all’Olimpico, nel 1984 perse ai rigori la Coppa dei Campioni dopo un memorabile ipnotico balletto del portiere!
Ora spalanca le porte ai giovanissimi delle Mauritius che vogliono diventare calciatori. E’ fra i testimonial e promotori dell’Accademia calcistica internazionale nell’isola-stato dell’oceano Indiano.
Bruce David Grobbelaar, oggi 62enne, chi se lo può scordare? A 18 anni obbligato a uccidere i guerriglieri antigovernativi di Robert Mugabe in Zimbabwe; a 19 anni fuggiasco in Canada; a 24 anni comincia nello stadio di Anfield la sua carriera leggendaria come portiere del Liverpool; nel 1994 verrà denunciato per combine calcistica e poi dichiarato fallito; recentemente autore di un libro in cui racconta la sua vita spericolata….
Ora Jungleman, l’uomo della giungla, il nero con la pelle bianca (è nato a Durban ma è cittadino dello Zimbabwe, perché a 2 mesi con la famiglia finì nell’allora Rhodesia) è ricomparso alle Mauritius. E non come turista a godersi le spiagge e le lagune per cui l’isola è giustamente conosciuta.
Ha presenziato, una settimana fa, al lancio della Liverpool Football Club (LFC) Academy Mauritius. E’ la 30esima struttura nel mondo e la seconda in Africa (l’altra è in Egitto) che ha come scopo quello di “sviluppare la cultura calcistica per l’impatto positivo che ha sulla popolazione giovanile”.
La scuola, naturalmente, è stata inaugurata in partnership con il governo di Port Louis, che ha dato grandissimo risalto all’evento. Infatti alla cerimonia ufficiale, tenutasi nel faraonico complesso polisportivo Cote d’Or, con in bella mostra una delle tante coppe conquistate dalla squadra britannica, erano presenti anche il primo ministro Pravind Kumar Jugnauth, il ministro dello Sport e della Gioventù, Christophe Stéphan Toussaint e Dan White, vicepresidente delle International Academies della società calcistica.
Nella graduatoria mondiale la piccola repubblica isolana non è certo in alto: giace, infatti, nella 155 posizione (su 211). Eppure il pallone è la passione nazionale (assieme al pugilato) e su una popolazione inferiore a 1 milione e mezzo di unità le cifre ufficiali parlano di ben 2400 giovani che hanno già fatto domanda di preiscrizione alla neonata Accademia.
L’accordo fra Mauritius e LFC ha una durata triennale e prevede il reclutamento di giovanissimi tra I 12 e 15 anni. Questi verranno addestrati in modo personalizzato per migliorare le loro “abilità tecnico-tattiche, fisiche, sociali e anche mentali”. Insomma si vuole fornire una preparazione a tutto… campo, perchè, ha sottolineato il primo ministro “questa scuola costituisce un elemento fondamentale nella riforma degli sport e offrirà una notevole opportunità ai nostri giovani talenti”.
Il primo ministro ha enfatizzato l’iniziativa in quanto da lui è stata voluta fortemente dopo un viaggio, lo scorso anno, nel Regno Unito. I metodi della scuola Liverpool, i suoi scopi sociali e il prestigio di uno dei club più titolati del mondo, lo hanno convinto a sostenere l’impresa.
I lavori dell’Accademia si svilupperanno durante tutto il corso dell’anno, ma soprattutto in occasione delle vacanze estive. L’obiettivo del programma triennale è di preparare un massimo di 256 atleti il primo anno (che saranno allenati per 3 giorni la settimana), 512 nel secondo ano e 768 il terzo. E’ previsto il reclutamento anche di 17 allenatori.
Al di là dei dati specifici è rilevante il fatto che anche il pallone possa servire a dare speranze per un futuro migliore. Mauritius viene presentata come una piccola nazione in via di sviluppo (in quanto “porta dell’Africa” soprattutto per l’India) anche se recentemente è stata sospettata di aver favorito grosse evasioni fiscali a diverse multinazionali.
Un ruolo preponderante nel supportare la scuola che formi i giovani dell’oceano Indiano l’ha avuto Grobbelaar , che ha sempre sostenuto di avere un debito con la vita. Il pallone – ama ripetere – è ben poca cosa rispetto a quello che ho passato. Nella sua autobiografia, Alife in the jungle, pubblicata nel 2018 con il giornalista norvegese R. Lund Ansnes racconta le ombre, i successi e i tormenti della sua esistenza.
L’ex portiere nel 1975 a 18 anni appena compiuti fu obbligato a prestare servizio per 11 mesi nell’esercito dello Zimbabwe durante la guerra civile in Rhodesia. Come scout era addetto cacciare i guerriglieri antigovernativi di Robert Mugabe e costretto quindi a ucciderne parecchi per salvare se stesso. “Quanti ne ho uccisi? Non posso dirlo – confessò al Guardian – . Ho ucciso tante persone e per questo ho sempre vissuto la mia vita giorno per giorno. Posso solo pentirmi di quello che ho fatto, ma non posso cambiare il mio passato”.
Grobbelaar rischiò di cadere nel buco nero della depressione. Alcuni suoi coetanei non ce la fecero ad andare avanti gli altri 6 mesi richiesti dai capi e decisero di suicidarsi simultaneamente in due bagni vicini all’accampamento.
Ora, in età non più verdissima, il portiere più decorato nei 127 anni storia dei Reds apre le sue mani non per parare ma per accogliere. Non per sparare, ma per abbracciare.
Costantino Muscau
muskost@gmail.com