Franco Nofori
25 agosto 2019
Poliedrico, astuto, spregiudicato, dotato di un’oratoria coinvolgente che mette decisamente in ombra quella del suo alleato-rivale Uhuru Kenyatta, il vicepresidente del Kenya, William Kipchirchir Samoei Arap Ruto, mette a segno un altro formidabile colpo che, nella sua accurata strategia di conquista del potere, dovrebbe portarlo alla presidenza nelle elezioni del 2022. Il più importante canale d’informazione del Paese, il Nation Media Group, cui fanno capo un quotidiano cartaceo, uno online e una delle più seguite reti televisive nazionali, è ora sotto il suo totale controllo.
La conquista del potente mezzo d’informazione, di cui William Ruto possedeva già un pacchetto azionario del 50 per cento, si è conclusa quasi in sordina con l’acquisizione di un altro 10 per cento che glie ne assicura così l’assoluto dominio. Ancora non è chiaro dove Ruto abbia rastrellato questa quota aggiuntiva, sfuggendo all’attenzione dell’attuale presidente Kenyatta, la cui famiglia era da sempre ritenuta l’indiscutibile proprietaria del gioiello mediatico del Paese e non è avventato prevedere che, da oggi, la linea editoriale del Nation, subirà un brusco cambiamento per servire gli ambiziosi progetti del nuovo padrone.
Padre di sei figli, da molti ritenuto marito fedele, devoto cristiano, scevro da vizi e con un irreprensibile stile di vita, William Ruto (se la sua strategia sarà vincente) si troverà a dirigere, all’età di cinquantasei anni, una tra le più importanti Nazioni africane. Un risultato davvero sorprendente giacché proviene da una famiglia molto povera, del remoto villaggio di Sambut, nel cuore rurale del territorio kalenjin e che, stando alla sua biografia, poté indossare il primo paio di scarpe, solo quando ebbe accesso alla Kerotet Primary School. Studente modello durante l’intero processo educativo, fino al conseguimento della laurea in botanica e zoologia nel 1990, poi arricchitasi di un dottorato conferitogli nel 2018 su ecosistema e ambiente, William Ruto, con l’efficace dialettica e la meticolosa cura della propria immagine, padroneggia la scena politica, con eleganza e carisma.
L’attuale presidente Uhuru Kenyatta, i cui rapporti con il suo vice si sono già recentemente deteriorati per lo scandalo che ha visto coinvolto l’ex ministro delle finanze Henry Torich, fedele sostenitore di Ruto, dovrà ora accontentarsi del solo 38 per cento di quote del colosso mediatico, ora controllato dal suo vice. Posto che le scelte politiche delle popolazioni africane in genere, sono prevalentemente condizionate dall’appartenenza etnica dei candidati, più che dai loro programmi di governo, resta il fatto che l’apparente integrità di William Ruto, opposta a quella di Uhuru Kenyatta, cui voce di popolo, attribuisce una certa debolezza verso l’alcol (la stessa che pare affliggesse anche il suo predecessore Mwai Kibaki) lo fa uscire vittorioso dal confronto e prefigura uno scenario in cui l’eterna rivalità tra kikuyu e kalenjin, potrebbe riesplodere nel prossimo confronto elettorale.
“Apparente integrità” perché in realtà, William Ruto, non è del tutto esente dal biasimo dei benpensanti, sia per la sua pretesa figura di marito integerrimo e sia per la scarsa trasparenza per quanto attiene l’etica politica. Nel 2017, una certa Prisca Chemutai Bett, dichiarò pubblicamente che Ruto era il padre della sua figlioletta undicenne, Abby Cherop, concepita, quindi, quando lui era già sposato con l’attuale moglie, Rachel Chebet, cui si era unito nel 1991. Ruto riconobbe la paternità della ragazza, confermando così, l’avvenuta infedeltà coniugale, ma l’aspetto che più stona con la sua dichiarata integrità politica, è dato dall’immensa ricchezza, che si è creata dal nulla e dal compiacimento con cui si adopera nell’ostentarla. “Ho lavorato duro”, risponde lui a chi gli chiede come ha potuto accumulare una così ingente fortuna.
Tuttavia, la recente acquisizione del Nation Media Group da parte di un politico, non è certo un’esclusiva del Kenya nel panorama internazionale, dove la commistione tra il potere politico e quello economico, controlla spesso l’informazione (non per niente definita “il quarto potere”). L’Italia, con giornali e reti posseduti dalla Mediaset di Silvio Berlusconi; quelli che fanno capo alla Cairo Communications e quelli del Gruppo De Benedetti, rendono anche il nostro apparato informativo, fortemente influenzato dal capitale. Influenza cui non è sempre facile sottrarsi, anche quando i direttori editoriali, siano giornalisti di provata integrità. Ne è prova la frattura tra Berlusconi e Indro Montanelli, il quale, pur se su posizioni politiche non troppo distanti da quelle del nuovo proprietario, abbandonò nel 1994 Il Giornale, da lui stesso creato, perché non voleva sottostare alle imposizioni del capitale.
Franco Nofori
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