Franco Nofori
19 agosto 2019
Gli alterni scenari del panorama politico africano, ci hanno abituati a sconvolgimenti e voltafaccia che il buon senso non avrebbe potuto far ipotizzare, ma invece, ciò che si riteneva impossibile si è verificato. Uhuru e Ruto, nel dopo elezioni del 2007, si erano bellicosamente confrontati, a capo dei rispettivi sostenitori, scatenando un massacro che aveva prodotto oltre milleduecento vittime e seicentomila sfollati. Le etnie a confronto, erano quelle dei kikuyu, da un lato e di luo e kalenjin dall’altro. A quel tempo, Raila Odinga, leader dei luo, e William Ruto, dei kalenjin, erano coalizzati contro il nemico comune: il kikuyu Mwai Kibaki, candidato alla presidenza, contro l’eterno rivale Raila Odinga. Kibaki, nella campagna elettorale, era sostenuto dal suo delfino, Uhuru Kenyatta.
Kibaki, pur se in forte odore di brogli, risultò vincitore e fu questo sospetto a scatenare la rivolta degli oppositori. Si verificarono episodi di raccapricciante crudeltà, come quello avvenuto nei pressi di Eldoret, in territorio kalenjin, dove oltre trenta persone, tra cui molti bambini di etnia kikuyu, furono arsi vivi all’interno della chiesa pentecostale in cui si erano rifugiati. Scontri e violenze continuarono a oltranza, malgrado i ripetuti interventi di mediatori internazionali, fino a che, inventando una carica (fino a quel momento inesistente) di primo ministro a favore di Raila Odinga, i due irriducibili avversari si strinsero la mano e Odinga ebbe accesso alla spartizione della torta, con buona pace di coloro che avevano perso la vita su entrambi i fronti, combattendo in favore dell’uno o dell’altro dei contendenti.
Le cose non andarono altrettanto bene per Uhuru Kenyatta e William Ruto che si trovarono incriminati dal Tribunale Penale Internazionale (ICC) per aver fomentato stragi etniche. Accuse poi franate nel nulla, causa testimoni che scomparivano o ritrattavano. Forse proprio perché accomunati in questa sgradevole esperienza, Uhuru e Ruto, prima irriducibili avversari, si ritrovarono improvvisamente alleati ed entrambi coalizzati contro un nuovo nemico: Raila Odinga. Infatti al termine del secondo mandato di Kibaki, cui seguirono le nuove elezioni del 2013, Uhuru e Ruto corsero insieme opponendosi a Raila Odinga e conquistando rispettivamente la presidenza e la vicepresidenza del martoriato Kenya. Cariche che furono riconfermate nelle successive elezioni del 2017, anche se con altri scontri e uccisioni che, fortunatamente non raggiunsero i livelli precedenti, ma si attestarono comunque intorno alle 150 vittime.
Anche questa volta, l’ira del perenne sconfitto, Raila Odinga, fu mitigata dalla collaudata african way; che consiste nel fornire al rivale la possibilità di far parte del nuovo governo, in questo caso, con l’incarico di Alto Rappresentante dell’Unione Africana per lo Sviluppo delle Infrastrutture. In parole plebee: un nuovo e libero accesso alla mangiatoia comune. Occorre però dare atto che, in quanto a corruzione, sia Uhuru e sia Raila, non ne detengono il primato, il quale spetta, a pieno diritto, all’ineffabile vicepresidente William Ruto che, in questo campo, fa davvero la parte del leone, ottenendo la meritata nomea di “Uomo più corrotto del Kenya”. Ma come tutte le corde che, quando sono troppo tese, finiscono per strapparsi, anche la ritrovata “amicizia” tra Uhuru e Ruto, sembra essersi avvicinata al punto di rottura.
La causa di questa incombente frattura, risiederebbe nel recente scandalo che ha visto coinvolto il ministro delle finanze Henry Rotich, un kalenjin la cui nomina era stata fortemente sponsorizzata dal vicepresidente Ruto nel 2013. Stando al capo d’imputazione a suo carico, Rotich, si sarebbe appropriato di oltre duecento milioni di dollari, distratti dall’appalto concesso alla ditta italiana CMC di Ravenna, per la costruzione di due dighe (definite “le dighe fantasma”, perché mai realizzate) nelle località di Kimwarer e Arror nella Kerio Valley. Insieme a Rotich, furono arrestati altri venti funzionari del suo ministero, reputati a vario titolo coinvolti nello stesso fatto illecito. Un colpo non da poco alla reiterata campagna del presidente Kenyatta, contro la corruzione, con il più volte dichiarato intento di combatterla con tutti i mezzi.
La frattura tra il presidente e il suo vice, sarebbe stata causata dall’atteggiamento tenuto da Ruto nei confronti di questo scandalo per il quale, anziché accodarsi alla comune condanna, l’ha visto trincerarsi dietro un sospetto silenzio che odora un po’ di connivenza. Inoltre, il senatore Aaron Cheruiyot, da tutti ritenuto il portavoce delle posizioni di William Ruto, ha dichiarato: “Le iniziative di questo governo, hanno ben poco a che fare con la lotta alla corruzione, ma sembrano piuttosto un sistematico complotto per eliminare tutti gli aderenti a una certa corrente politica invisa al presidente”. Affermazione, questa, di estrema gravità che fa prefigurare un preoccupante scenario per le prossime elezioni del 2022
In una recente intervista rilasciata ad Al-Jazeera, il deputato del partito Jubilee di Uhuru Kenyatta, Ngunjiri Wambugu, ha dichiarato: “William Ruto pensa che i keniani siano stupidi? E’ chiaro a tutti che mentre stringe sorridendo la mano a Kenyatta, con le sue azioni lo pugnala alle spalle”. Un quadro che rende piuttosto improbabile il sostegno del Jubilee alla candidatura di Ruto alla presidenza del Paese nel 2022, com’era negli accordi. Del resto un governo che si prefigga di sconfiggere la corruzione, con un vicepresidente che in soli vent’anni di carriera politica è passato dalla miseria a un patrimonio stimato vicino ai trecento milioni di dollari, ha, oggettivamente, ben poche speranze di avere successo.
Franco Nofori
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